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Militari contro i politici sul futuro di Israele

Giorgio Bernardelli
30 maggio 2016
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Fa notizia in Israele il clamoroso ritorno al governo di Avigdor Lieberman come ministro della Difesa. E molto si parla - ovviamente - dell’ulteriore spostamento a destra della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu. Il vero nodo, però, sta altrove: nel rapporto sempre più teso tra l’esecutivo e l’esercito, fatto inedito per un Paese come Israele.


Fa notizia in Israele il clamoroso ritorno al governo di Avigdor Lieberman come ministro della Difesa. E molto si parla – ovviamente – dell’ulteriore spostamento a destra della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu. Il vero nodo, però, a me pare che stia altrove: nel rapporto sempre più teso tra l’esecutivo e l’esercito, fatto inedito per un Paese come Israele.

Già qualche settimana fa Terrasanta.net ha raccontato le parole forti pronunciate dal vice capo di Stato maggiore Yair Golan nel discorso tenuto in occasione della Giornata della memoria allo Yad Vashem. «Se c’è una cosa che mi spaventa a proposito della memoria della Shoah è osservare i processi spaventosi intervenuti nell’Europa e, in particolare, in Germania 70, 80 o 90 anni fa, e trovare indizi della loro presenza anche tra noi nel 2016», aveva detto. Parole seguite da polemiche aspre, con lo stesso premier Benjamin Netanyahu sceso in campo personalmente per criticare questo tipo di accostamento. Al di là della specifica affermazione del generale Yair Golan la vicenda è stata un chiaro indice della spaccatura sempre più profonda tra l’esercito e un Netanyahu oggi incline a rincorrere la destra estrema pur di rimanere in sella al suo governo.

Letto dentro a questo quadro lo sbarazzarsi del ministro della Difesa Moshe Yaalon per fare rientrare nel governo Avigdor Lieberman è stata la naturale conseguenza. Yaalon non è semplicemente uno dei tanti esponenti del Partito Likud silurati da Netanyahu in questi anni; Yaalon è l’ex capo di stato maggiore dell’esercito che nel 2002, con il primo ministro Ariel Sharon, lanciò l’operazione Scudo di Difesa, la dura risposta militare alla seconda intifada (quella che portò i carri armati a Betlemme e a Jenin, per intenderci). E fu anche il generale che nel 2005 fu allontanato dalla guida dell’esercito per la sua opposizione al ritiro da Gaza. Dunque un uomo dal curriculum non esattamente da colomba. Eppure da ex militare Yaalon ha condannato il soldato israeliano che a Hebron, il 24 marzo scorso, ha ucciso a sangue freddo un palestinese in uno degli episodi più controversi dell’intifada dei coltelli. E questo l’ultradestra non gliel’ha perdonato. Così oggi – dovendo scegliere tra lui e il reingresso al governo di Yisrael Beitenu – Netanyahu ha scelto Lieberman. Il premier ci aveva anche provato a trattenere al governo Yaalon offrendogli il ministero degli Esteri, di cui lui stesso detiene l’interim; ma l’ex generale gli ha risposto picche e si è dimesso prima di ritrovarsi giubilato. Lasciando anche il suo seggio alla Knesset che – in un avvicendamento quanto mai simbolico – dentro il Likud verrà preso da Yehuda Glick, il più famoso attivista del movimento che sostiene il diritto degli ebrei di tornare a pregare pubblicamente sul Monte del Tempio/Spianata delle Moschee.

Con i seggi di Yisrael Beitenu la coalizione di Netanyahu sale quindi da 61 a 66 parlamentari su 120 alla Knesset. Ma è un rafforzamento tutto da verificare. Intanto perché contemporaneamente aumenterà la litigiosità interna con la corsa a destra tra i diversi partner. Habait haYehudi, il partito di Naftali Bennett (il più vicino ai coloni) ha già posto condizioni prima di votare la nomina del nuovo ministro della Difesa. E lo scontro tra Lieberman e Bennett è solo all’inizio, con i centristi del ministro delle Finanze Moshe Khalon che si troveranno ogni giorno di più in imbarazzo (un loro ministro, quello dell’Ambiente, si è già dimesso).

Al di là degli equilibri interni alla coalizione – però – è proprio sui rapporti con l’esercito che per il governo Netanyahu si profilano le difficoltà più serie. Tra i militari il malumore per la nomina di Lieberman è palpabile: già è rarissimo nella storia recente di Israele il caso di un ministro della Difesa che non abbia un passato nell’esercito. Ma in questo caso si tratta anche di un politico ingombrante; e in un momento in cui con lo stesso premier i rapporti dei vertici dell’esercito non sono affatto idilliaci. A dare voce a queste preoccupazioni è stato nelle ultime ore l’ex capo dello Shin Bet (l’intelligence interna) Yuval Diskin, altro ex militare da tempo in rotta con Netanyahu e da più parti indicato come l’unica vera alternativa credibile oggi al premier in Israele. Su Yediot Ahronot Diskin ha pubblicato un articolo durissimo in cui dice che Israele è «sull’orlo del precipizio», rivelando anche episodi specifici che – a suo dire – proverebbero l’inadeguatezza di Netanyahu a gestire la sicurezza del Paese. L’elemento più interessante dell’articolo, però, sono le parole che Diskin dedica a Yaalon e agli attuali vertici dell’esercito: parole che non è difficile leggere come un’apertura di credito da parte di un aspirante primo ministro di Israele.

La mossa di Yaalon arriva poche ore dopo un’altra sortita da parte di ex militari: la presentazione da parte dei Comandanti per la sicurezza di Israele 200 ex ufficiali degli apparati della Difesa e della Polizia – di un piano di pace per uscire dall’impasse in cui si trova il conflitto israelo-palestinese. L’idea chiave è che lo status quo non giochi a favore di Israele; e i primi due punti del piano sono il blocco di nuove costruzioni negli insediamenti e l’accettazione del Piano della Lega Araba, la proposta promossa dai sauditi nel 2002 che in sostanza propone il riconoscimento di Israele da parte dei Paesi arabi in cambio del ritiro dai Territori. In pratica: l’esatto opposto rispetto alla politica adottata in questi anni da Netanyahu.

Non è la prima volta che degli ex militari presentano un piano di pace «dal basso»: personalità provenienti dall’esercito parteciparono alla stesura degli Accordi di Ginevra, l’iniziativa promossa da Yossi Beilin e Yasser Abed Rabbo nel 2003. E un’altra iniziativa simile fu portata avanti dall’ex ammiraglio Ami Ayalon. Ma stavolta a stupire è il numero degli ex militari coinvolti e il profilo del primo firmatario: Amnon Reshef è infatti l’eroe della Guerra dello Yom Kippur, l’uomo che grazie all’azione della Quattordicesima Brigata da lui comandata ribaltò le sorti del conflitto nel 1973. In quell’occasione salvò Israele contrattaccando l’Egitto oltre il Canale di Suez e spingendosi fin quasi a Ismailia. Adesso si propone di farlo «mantenendo almeno la possibilità futura di una soluzione al conflitto con i palestinesi».

Diskin, Yaalon, Reshef: ex militari contro il premier che ha sempre vinto puntando tutto sulla sicurezza. Forse è il segno che stavolta il vento sta cambiando davvero in Israele.

Clicca qui per leggere l’articolo di Yuval Diskin

Clicca qui per leggere l’articolo di i24 sull’iniziativa dei 200 ex comandanti dell’esercito

Clicca qui per vedere il sito di Commanders for Israel’s Security

 


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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