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La pagina nera, giornalisti in rivolta

Elisa Ferrero
16 maggio 2016
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Dopo la ribellione dei medici, l’Egitto assiste oggi alla ribellione dei giornalisti, in agitazione da più di due settimane. La tensione è montata con l'arresto di alcuni colleghi e ha anche i toni di un contrasto generazionale.


Dopo la ribellione dei medici, l’Egitto assiste oggi alla ribellione dei giornalisti, in agitazione da più di due settimane. Il nuovo sussulto di rivolta è nato sulla scia delle proteste del 25 aprile per il passaggio di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, quando Amr Badr, caporedattore di Bawwabat Yanair, e il giornalista Mahmoud al-Saqqa hanno scritto alcuni articoli per dimostrare che le due isole sono in realtà egiziane. Ciò è costato loro un mandato di arresto, per sfuggire al quale hanno cercato asilo nella sede del sindacato dei giornalisti. Il primo maggio, però, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione e arrestato i due. Per Yahya Qallash, presidente del sindacato, l’irruzione è stata illegale, perché il regolamento dell’organizzazione richiederebbe la presenza di un rappresentante della Procura Generale. Per il ministero dell’Interno, invece, la polizia ha agito nella legalità, essendo in possesso del mandato di arresto del procuratore generale e tenendo conto che la legge prevale sul regolamento interno di qualsiasi organizzazione.

In ogni caso, è la prima volta nella storia del sindacato dei giornalisti che accade un fatto del genere, oltretutto all’approssimarsi del 3 maggio, Giornata internazionale della libertà di stampa. Da tempo, inoltre, l’umore dei giornalisti non era affatto buono, considerata la repressione crescente che stanno subendo. Dunque, l’arresto di Badr e al-Saqqa non poteva passare liscio. Persino l’illustre quotidiano al-Ahram, sotto controllo governativo, ha pubblicato un editoriale contro il ministero dell’Interno dai toni inauditi.

A far precipitare le cose, poi, è giunta la clamorosa gaffe del ministero dell’Interno stesso che, il 3 maggio, ha inviato per sbaglio alla sua mailing list di giornalisti, di solito usata per aggiornamenti sulle proprie attività, un faldone di 144 pagine contenente le linee guida per i propri uffici su come affrontare la crisi con la stampa. Fra altre cose, in questo faldone si parlava di “coordinarsi” con il procuratore generale per preparare un ordine di censura per i mass media sulla vicenda di Badr e al-Saqqa e sull’omicidio di Giulio Regeni. L’interferenza ministeriale nell’amministrazione della giustizia è stata così palesemente svelata – se ce n’era bisogno – nel più banale e grottesco dei modi. Una «disfunzione tecnica», ha dichiarato il Ministero, senza commentare il contenuto del faldone. Intanto, però, la frittata era fatta.

La rabbia dei giornalisti è montata al punto che l’assemblea generale della categoria convocata per il 4 maggio, presso la sede del sindacato, ha visto una partecipazione senza precedenti. Circa tremila giornalisti, in maggioranza giovani, affiancati da rappresentanti dei medici e degli avvocati, accorsi per solidarietà, hanno sfondato l’assedio delle forze di sicurezza, coadiuvate da squadre di sostenitori del presidente Abdel Fattah al-Sisi, e sono riusciti a tenere la loro assemblea straordinaria senza ulteriori ostacoli. Le decisioni di questa assemblea sono state storiche e originali. Innanzitutto, si sono richieste le scuse ufficiali del presidente al-Sisi in persona e le dimissioni del ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar. Poi, si è decisa una singolare forma di protesta: non pubblicare più sui giornali il nome del ministro, ma sostituirlo con il negativo della sua immagine. Il giorno successivo, molti quotidiani e news outlet su carta stampata e online, da al-Shorouk a Youm7 (di solito pro-regime), hanno aderito alla protesta pubblicando comunicati in sostegno al sindacato dei giornalisti e foto inquietanti, ma esilaranti, di colui-che-non-può-essere-nominato. Il 7 maggio, proseguendo la protesta, gli stessi quotidiani hanno pubblicato una prima pagina tutta nera, mentre un corteo di giornalisti, “armati” di penna, ha raggiunto gli uffici del procuratore generale.

La reazione dei giornalisti filo governativi, però, non si è fatta attendere. Il quotidiano al-Ahram ha sminuito l’assemblea del 4 maggio definendola fallimentare, perché organizzata solo da un gruppuscolo di giovani. Poi, l’8 maggio, proprio nella sede di al-Ahram, si è tenuta la riunione di una dozzina di veterani del giornalismo, fra i quali Makram Mohammed Makram, ex caporedattore del quotidiano ai tempi di Mubarak, e cinque membri del consiglio direttivo del sindacato. Scopo della riunione? «Correggere la rotta» del sindacato. Questo gruppo, infatti, non condivide la richiesta di scuse ad al-Sisi. Ritenendo che il sindacato abbia agito come un partito politico e non come una organizzazione professionale, causando di proposito una crisi con il ministero dell’Interno, vuole la sfiducia del consiglio direttivo.

Per dirimere il conflitto che si è aperto nel sindacato è già stata indetta per il 17 maggio un’altra assemblea generale. Al di là di come andrà a finire, è comunque significativo che un conflitto del genere, che assume anche le caratteristiche di uno scontro generazionale, sia scoppiato. I sindacati (unici) professionali, infatti, sono sempre stati parte di quel mosaico che costituisce il regime, monopolizzando la rappresentanza delle varie categorie di lavoratori e rendendo ardua la pratica della professione a quanti ne restavano fuori. Qualcosa, però, ora si sta muovendo.

 


Perché “Kushari”

Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.

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