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In pellegrinaggio da nemici

Giorgio Bernardelli
17 maggio 2016
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Che in Siria si stia combattendo da anni una guerra regionale nella quale Arabia Saudita e Iran muovono le proprie pedine in tanti lo dicono da tempo. L'antagonismo si riverbera anche sull'Hajj, l'annuale pellegrinaggio dei pii musulmani alla Mecca.


Che in Siria si stia combattendo da anni una guerra regionale nella quale Arabia Saudita e Iran muovono le proprie pedine sulla pelle di centinaia di migliaia di innocenti, in tanti lo dicono da tempo. Ciò che, invece, si fa fatica ancora a cogliere è quanto questo conflitto tra le due grandi potenze del Medio Oriente – attraverso la strumentalizzazione delle differenze tra sciiti e sunniti – sia penetrato in questi ultimi anni in maniera pervasiva in tutti gli ambiti della vita in tanti Paesi della regione.

Forse diventa allora interessante cominciare a parlare già da adesso di quello che si profila come il nuovo capitolo di uno scontro non solo simbolico: quello sull’Hajj, l’annuale pellegrinaggio alla Mecca. Mancano ancora diversi mesi, in realtà, all’appuntamento: quest’anno infatti i giorni in cui milioni di pellegrini si recheranno alla Kaaba per adempiere ad uno dei precetti fondamentali dell’Islam cadranno tra il 9 e il 14 settembre. Eppure Iran e Arabia Saudita sono già in queste settimane ai ferri corti sul pellegrinaggio, con Teheran che minaccia apertamente di boicottarlo.

Per capire quanto sta succedendo bisogna ripartire dalla tragedia del 24 settembre 2015, quando quasi 2.500 persone morirono a causa della ressa nell’area di Mina, alla Mecca. La morte nella ressa è purtroppo un tipo di tragedia ricorrente durante l’Hajj, quando milioni di persone si concentrano nello stesso posto. Solo che in questo caso il Paese con il numero più alto di vittime – 464 – è risultato essere l’Iran. E nel mezzo del conflitto politico-militare tra Riyadh e Teheran per entrambi l’emozione suscitata da quei morti nell’intera comunità islamica è diventata un’occasione ghiotta da cavalcare. Con i sauditi pronti a scaricare sui pellegrini sciiti indisciplinati tutta la responsabilità della tragedia; e gli ayatollah – all’apposto – ad accusare la monarchia «Custode dei Luoghi Santi dell’Islam» di manifesta incapacità nel gestirli.

Sono ormai passati mesi da allora, ma pare proprio che di passi avanti per un chiarimento sull’accaduto tra le due comunità religiose se ne siano fatti ben pochi. Così nei giorni scorsi da Qom – il cuore religioso dell’Iran – è partita la minaccia del boicottaggio della Mecca in occasione del prossimo Hajj. La motivazione ufficiale è la freddezza dimostrata dai sauditi negli incontri logistici che, come ogni anno, si svolgono a livello di funzionari governativi per organizzare la logistica del grande pellegrinaggio. Ci sarebbero, in particolare, due condizioni poste da Riyadh che Teheran considera inaccettabili: la richiesta che gli iraniani si rechino in un Paese terzo per chiedere il visto di ingresso in Arabia Saudita e il divieto di poter utilizzare per l’Hajj aerei iraniani.

È evidente che il dissidio non è solo su questioni organizzative: l’ultimo anno ha visto la conclusione del negoziato sul nucleare iraniano e il ritorno in grande stile di Teheran sui mercati petroliferi, due novità che Riyadh ha cercato di impedire con tutte le proprie forze. Dunque ora starebbe giocando la carta religiosa del pellegrinaggio per infliggere un’umiliazione ai nemici iraniani pericolosamente sulla cresta dell’onda. Va anche aggiunto che l’idea del boicottaggio dell’Hajj non sarebbe comunque inedita: l’Iran l’ha già messa in pratica tra il 1988 e il 1991, in un’altra stagione in cui la tensione con l’Arabia Saudita era andata oltre lo standard usuale.

Il punto però è che il contesto attuale – con sciiti e sunniti che si combattono dalla Siria allo Yemen – renderebbe questo segnale ancora più dirompente. Per capire il livello dello scontro basta dare un’occhiata a un’infografica molto efficace che le autorità saudite hanno diffuso su Twitter in cui si elencano «i crimini iraniani da non dimenticare nella stagione dell’Hajj». Si va dall’accusa di aver nascosto esplosivi dentro a un aereo di pellegrini nel 1986, a tentativi di attentati alla Mecca che sarebbero stati sventati negli anni successivi; per concludere – ovviamente – con gli «oltre 300 pellegrini disubbidienti alle indicazioni che hanno portato nel 2015 ai morti di Mina».

Tutto questo per ricordare come le strumentalizzazioni religiose oggi sono una piaga anche interna al mondo islamico. Il che crea grossi problemi anche a chi musulmano non è in Medio Oriente. Perché senza una composizione dello scontro tra sciiti e sunniti non usciremo mai dalla tragedia che oggi insanguina questa regione. Il pellegrinaggio, anche nell’Islam, è un grande momento di purificazione: forse, per il bene di tutti, sarebbe ora che almeno l’Hajj tornasse ad esserlo davvero.

Leggi qui l’articolo di al Monitor che riassume dal punto di vista di Teheran lo scontro sull’Hajj

Guarda qui l’infografica diffusa dalle autorità saudite sui «crimini iraniani da non dimenticare nella stagione dell’Hajj»

 


 

Perché “La Porta di Jaffa”

A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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