Chiunque voglia contemplare un’icona della Risurrezione, si armi di grande pazienza, potrà cercare ovunque, ma non troverà ciò che cerca, parola di iconografo! Il mistero della Risurrezione di Nostro Signore è talmente grande che l’umana debolezza non può contenerlo e neppure descriverlo entro i canoni delle sacre icone della tradizione antica.
Tuttavia vi sono due icone che possono essere venerate a Pasqua e nel periodo pasquale fino alla Pentecoste: quelle detta della «Mirrofore» (portatrici di Mirra), in cui le donne recatesi alla tomba per sistemare il corpo con oli aromatici incontrano un angelo che annuncia loro che Cristo è risorto e non sta tra i morti; e l’icona della «Discesa agli inferi». Di quest’ultima voglio parlarvi. «Si aprirono a te con timore le porte della morte, o Signore; e i custodi dell’Ade, vedendoti, sbigottirono. Infatti, infrante le porte di bronzo e spezzate le sbarre di ferro, tu ci hai tratto fuori dalle tenebre e dall’ombra di morte, rompendo i nostri legami!». Con queste parole la liturgia bizantina descrive l’evento della discesa agli inferi durante i vespri di Pasqua. Anche questo fatto non è descritto nei Vangeli, ma la Chiesa ne ha decretato la veridicità con un articolo del Credo Apostolico.
Per indicare la realtà dei nostri progenitori esclusi dal contatto con Dio dopo il peccato originale, nell’icona il simbolo è rappresentato da due porte ben sbarrate con chiavistelli, chiavi, catene che non solo vengono aperte dal Cristo, ma sono addirittura scardinate con un’esplosione di chiodi, cardini e catenelle. Questi sono alcune dei dettagli curiosi di questa icona piena di simboli pregnanti di significati. La figura centrale dell’icona è Cristo: luminoso e glorioso mentre scende nell’Ade vittorioso sulla morte, è un vincitore, è un risorto. Il movimento dall’alto verso il basso, dalla terra agli inferi, è dato con la rappresentazione del manto che svolazza verso l’alto alle sue spalle. In alcune icone è stato tolto, per non confondere i fedeli e lasciare il dubbio se si trattasse di un lembo di veste del Cristo o di un’ala e quindi di un angelo.
Nell’icona della Discesa agli Inferi Adamo, spesso avvolto in un mantellone che lo rende maestoso, solenne ma anche pesante, è sempre inginocchiato e il Cristo che lo prende per mano dà proprio l’impressione di scuoterlo dal torpore della morte e di risvegliarlo. L’altra figura è quella di Eva; qualche volta Adamo ed Eva sono dalla stessa parte, però nella maggior parte delle icone si è imposta un composizione simmetrica: Cristo al centro, Adamo ed Eva ai lati.
Subito dopo vediamo comparire fra i personaggi gli Unti, che attendevano questo momento della salvezza che Cristo risorto ha instaurato nell’Universo. Giovanni Battista, il suo precursore, che anche nell’Ade svolge come il compito di annunciatore: infatti ha sempre la mano protesa ad indicarlo. Altri due personaggi che ritroviamo sempre incoronati sono Davide e suo figlio Salomone.
A questi si aggiungono altri che non hanno una ricorrenza fissa: più frequentemente si trovano Abele, poi Mosè, Noè e alcuni dei profeti. Questi ultimi sono riconoscibili da uno strano berretto, chiamato berretto frigio, piccolino, rosso con una fascia bianca che lo lega e possono essere Daniele, Michea; ma essendo personaggi secondari, nella rappresentazione, non hanno una necessità di identificazione.
Mosè è invece riconoscibile perché regge le tavole della Legge, Noè tiene una piccola barca in mano, Abele ha un bastone da pastore e spesso è vestito di pelliccia.
L’impossibilità di descrivere l’evento della Risurrezione dai morti, ha reso questa icona la regina delle icone, come la Pasqua è la festa delle feste; in essa si contemplano la forza dirompente della vita risorta e la schiera dei redenti che gioisce dell’avvento glorioso del Cristo. Il Risorto che scende agli inferi è la vera Pasqua, è l’annuncio più bello che ogni uomo possa ricevere: il Vivente, il primo e l’ultimo, è il Cristo del nostro quotidiano che ci viene a visitare nella nostra vita, nella nostra condizione di uomini e donne che spesso stanno nel buio, nella nostra condizione di incapacità di amare e di vedere la luce. Egli giunge con forza e sconvolge tutto, rompendo le porte e ogni vincolo che ci impedisce di raggiungerlo e fa nuove tutte le cose.
Eco di Terrasanta 3/2016
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