La tradizione della Chiesa e gli insegnamenti del concilio Vaticano II apprezzano e incoraggiano la libertà associativa dei fedeli laici e la nascita di esperienze di consacrazione a servizio del popolo di Dio. Tramite queste esperienze lo Spirito Santo vivifica la Chiesa e la rende feconda in vista della missione evangelizzatrice a cui tutti i fedeli sono chiamati. Ecco perché è decisamente una «buona notizia» la nascita di una nuova comunità di laici in Terra Santa. Si chiamano Comunità di Vita nuova. Sono giovani arabi appartenenti a diverse confessioni cristiane, animati da un forte desiderio di unità della Chiesa e da una profonda attenzione verso l’inculturazione della fede nella società arabo-palestinese. Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro storia, che inizia con un incontro.
«Nella mia città – spiega Nabil Abu Nicolas – viveva un sacerdote che ammiravo molto, padre Faraj Nakhleh. Ero ancora molto giovane quando gli diagnosticarono la sclerosi multipla. Nel 1993 – allora avevo 24 anni – padre Faraj rientrò dall’estero dopo un’assenza di tre anni. La malattia era molto progredita, e aveva bisogno di continua assistenza. Un prete, quando ormai era entrato in coma, ci invitò a fargli visita. Ci andai insieme ad altri. Mentre eravamo lì, si svegliò. Mi riconobbe e mi parlò. Sentii allora che dovevo lasciare tutto per aiutarlo. Fin da piccolo ho sentito il richiamo a una vita consacrata. Stavo per ritirarmi in un monastero in Libano, dove ero già stato accettato. Poco dopo, iniziammo a vivere insieme, io e padre Faraj. Per me quello fu un periodo straordinario, di pace e di preghiera. Volevo aiutarlo ad andare avanti con la sua vita, non solo in quanto uomo, ma anche come sacerdote. Il vescovo di allora mi autorizzò a svolgere qualsiasi incarico di cui padre Faraj potesse avere bisogno per poter svolgere la propria missione. Un anno dopo, il padre ricevette nella preghiera una ispirazione: la nostra esperienza si sarebbe chiamata Comunità di Vita nuova».
Oggi la comunità di Nazaret è formata da cinque consacrati, sia ragazzi che ragazze. Il loro impegno di servizio e preghiera si sviluppa soprattutto nell’accompagnamento delle realtà locali, siano esse cattoliche, ortodosse o evangeliche. Il tutto con una forte attenzione alla cultura e alla tradizione araba. Perché solo a partire dalla storia bimillenaria della presenza cristiana in questa terra, i giovani arabi cristiani sapranno trovare le motivazioni per vivere la propria fede e la propria identità.
Eco di Terrasanta 3/2016
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