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Akrich, o come rinascere da un cimitero

di Giorgio Bernardelli
1 aprile 2016
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A volte mi chiedo che cosa sarebbe il Medio Oriente se fosse lasciato alla sua gente, togliendo di mezzo tanti interessi, condizionamenti esterni ed ideologie. Siamo proprio sicuri che questi popoli tra loro non andrebbero d'accordo?


A volte mi chiedo che cosa sarebbe il Medio Oriente se fosse lasciato alla sua gente, togliendo di mezzo tanti interessi, condizionamenti esterni ed ideologie che ne influenzano pesantemente la vita anche nei volti più quotidiani. Siamo proprio sicuri che questi popoli tra loro non andrebbero d’accordo? Siamo sicuri che la pace, così, diventerebbe più difficile?

Lo dico pensando a una storia molto bella che viene dal Marocco e che ho letto in questi giorni sul sito di Middle East Eye (una miniera ricchissima di storie sul Medio Oriente). È il racconto di quanto sta capitando ad Akrich, una cittadina poverissima sulle montagne dell’Atlante, che da alcuni anni ha scoperto una nuova opportunità: valorizzare come una ricchezza il cimitero ebraico, abbandonato dagli ebrei fuggiti dal Marocco in Israele a causa delle guerre arabo-israeliane. Erano oltre 250 mila gli ebrei che vivevano in Marocco nel 1948, circa il 10 per cento della popolazione di allora; una comunità con un ruolo significativo nella vita e nella cultura del Paese. Oggi non ne restano che tremila, quasi tutti residenti nelle grandi città. Anche a distanza di decenni, però, i segni della presenza degli ebrei restano ben visibili in tutto il Marocco e da alcuni anni, su preciso impulso del re Mohammed VI, li si sta riscoprendo e valorizzando. Tanto che nella nuova Costituzione del 2011 la cultura ebraica è stata espressamente citata tra quelle caratterizzanti del Paese.

In questo contesto si è inserita anche la risistemazione dei cimiteri ebraici, che giacevano abbandonati: ben 167 sono stati riportati alla loro dignità di luoghi della memoria. Nel villaggio di Akrich, però, si è osato anche qualcosa di più: in questa cittadina dove un tempo vivevano ben tremila ebrei, con una comunità dalle radici secolari, si è deciso di legare il recupero del cimitero a un progetto di sviluppo locale. All’interno della cinta muraria, accanto alle tombe restaurate, è stato allestito un vivaio per le piante, realizzato con moderne tecniche di irrigazione. Un bene prezioso per un’area finora rimasta ferma a un’agricoltura di sussistenza.

L’esperimento sta funzionando molto bene. Dal punto di vista economico sono già novantamila gli alberi piantati nel vivaio che presto prenderanno la strada dei campi delle famiglie locali, con la prospettiva di un aumento del reddito. Il che – concretamente – per molti potrebbe voler dire la possibilità di mandare i figli alla scuola secondaria. Ma l’aspetto economico non è l’unico beneficio: ad Akrich sono cominciati a tornare anche gli ebrei, che vengono in pellegrinaggio sulle tombe dei loro antenati (tra i quali anche un rabbino molto venerato). Sono loro i primi a testimoniare che il cimitero sulle montagne dell’Atlante è qualcosa di diverso da tutti gli altri: non è un semplice museo, ma grazie al vivaio è un luogo che racconta la vita. Con loro, poi, sono tornati pure i ricordi degli anziani di Akrich, che raccontano la vita e le amicizie con gli ebrei, distrutte all’improvviso da fatti che nulla avevano a che fare con la storia di quella comunità. Nessuno avrebbe nulla in contrario se qualche ebreo ci tornasse anche ad abitare ad Akrich.

Si tratta di una storia piccola ma molto significativa. In un mondo dove anche la memoria finisce per essere sempre selettiva, perpetuando le ferite anziché aiutare a rimarginarle, sulle montagne dell’Atlante è successo qualcosa di diverso. E non per un’imposizione dall’esterno, ma per un processo che ha fatto riemergere un’amicizia vera tra le persone. Una strada interessante, che varrebbe la pena di percorrere anche altrove.

Clicca qui per leggere l’articolo sul villaggio di Akrich


A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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