L'Europa che chiude le frontiere ai profughi si affida alla Turchia di Erdogan per tenere gli indesiderati fuori dalle sue porte. E il "sultano di Istanbul" ritrova un ruolo cruciale.
Che in Turchia ci fosse una bomba pronta ad esplodere, lo si sapeva da tempo. Mentre l’opinione pubblica italiana era tutta presa dagli sbarchi sulle coste nostrane, e quella internazionale viveva annichilita lo spettro del terrorismo di stampo fondamentalista (basta evocare la strage del Bataclan a Parigi del novembre scorso per capire di cosa stiamo parlando), in Turchia e sulla cosiddetta rotta balcanica si consumava il tragico destino di decine di migliaia di profughi in fuga da un conflitto, quello siriano, che ridotto il Paese ad un cumulo di macerie, mietendo 270 mila morti e milioni di profughi e sfollati.
Ogni giorno in Europa arrivano circa 2 mila profughi da Siria, Iraq e Afghanistan. Si era tentato di trovare una soluzione con un regime di quote (rigettate da gran parte dei Paesi). Nell’ottobre scorso l’Europa aveva stabilito che 160 mila rifugiati sarebbero stati ricollocati secondo un piano condiviso; ad oggi solo 700 hanno trovato accoglienza (lo 0,4 per cento del totale): le resistenze in seno ai Paesi non hanno permesso di fare di più. La mancanza di fondi (o la mancanza di volontà nel reperirli) ha poi gettato decine di migliaia di persone nell’indigenza più assoluta. Tutti abbiamo negli occhi le immagini di Idomeni, in Grecia, dove bambini, donne e uomini vivono sotto tende di fortuna, al freddo e nel fango. In attesa di poter partire verso una vita nuova che è diventata un vero e proprio miraggio.
E mentre il blocco orientale dell’Unione ha innalzato nuovi muri per impedire gli ingressi di queste orde di disperati – e perfino Svezia e Danimarca chiudono i confini – all’Europa non è restato che guardare nuovamente a Istanbul, rimettendo nelle mani del presidente Erdogan una qualche possibile soluzione ad una situazione divenuta insostenibile.
Al «sultano» di Istanbul (città di cui è stato a lungo sindaco) non sarà sembrato vero di poter dare nuovamente le carte in una partita che lo ha visto spesso protagonista. Non possono essere dimenticate le responsabilità di Ankara nel contesto della crisi siriana, fiancheggiando gli oppositori di Bashar al Assad e favorendo l’ingresso nel territorio siriano delle milizie fondamentaliste sunnite prima; lucrando infine sui traffici petroliferi dello Stato Islamico.
Ma di fronte all’impotenza europea, ecco allora il compromesso, perfezionato il 18 marzo scorso: in cambio di uno stop al flusso di profughi, l’Europa ha accettato di raddoppiare la cifra destinata al governo turco (6 miliardi di euro invece di 3). È previsto inoltre un programma più snello di visti d’ingresso per i cittadini turchi nei Paesi Ue e l‘introduzione di un sistema di scambio di rifugiati. In pratica: per ogni migrante respinto oltre l’Egeo, potrà essere ammesso un siriano richiedente asilo. Ma, soprattutto, l’Europa ha promesso di garantire ad Ankara un’accelerazione del processo di valutazione relativo all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Un risultato che, per la gran parte dell’opinione pubblica europea, non sarebbe affatto da perseguire.
Insomma, i profughi in fuga da povertà e guerre vengono strumentalizzati e usati da Ankara come arma politica, merce di scambio per ottenere vantaggi. Una sconfitta politica per l’Unione Europea, più divisa che mai, dove, per tacitare l’opinione pubblica interna sempre più tentata da derive xenofobe e identitarie, diritti umani e dignità dell’uomo sembrano ormai valori da mandare in soffitta.
Terrasanta 2/2016
Eccovi il sommario dei temi toccati nel numero di marzo-aprile 2016 di Terrasanta su carta. Tutti i contenuti, dalla prima all’ultima pagina, ordinati per sezioni. Buona lettura!
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Il progetto dell’associazione Beit haShanti, «Casa di pace/serenità», fondata circa trent’anni fa per aiutare ragazzi e ragazze israeliani abbandonati e senza casa. L’associazione offre ospitalità e, soprattutto, calore famigliare.
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Come può la Chiesa cattolica proclamare dottore della fede qualcuno che appartenne a una Chiesa separata? Un gran numero di studi storici e teologici hanno aperto la strada.
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Il presidente al-Sisi ha chiesto ai cittadini un contributo economico volontario. A questo appello alla solidarietà nazionale, gli egiziani, in patria e all’estero, hanno risposto superando ogni aspettativa.
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