Il 4 marzo scorso è stato un venerdì drammatico ad Aden, in Yemen, dove quattro uomini armati sono entrati in una Casa della carità, fondata tempo addietro dalle suore di Madre Teresa di Calcutta e, secondo la polizia locale, hanno ucciso 14 persone, tra cui quattro suore. L’episodio è solo uno tra i più efferati accaduti ad Aden negli ultimi sei mesi.
(l.s.b.) – Il 4 marzo scorso è stato un venerdì drammatico ad Aden, in Yemen, dove quattro uomini armati sono entrati in una Casa della carità, fondata tempo addietro dalle suore di Madre Teresa di Calcutta e, secondo la polizia locale, hanno ucciso 14 persone, tra cui quattro suore. Le vittime erano di varie nazionalità. Tra loro anche la guardia e il giardiniere del complesso. Altri 60 residenti sono rimasti illesi, ma si sono perse le tracce di padre Tom Uzhunnalil, un sacerdote salesiano indiano che si trovava nell’edificio. La comunità, finora, non aveva ricevuto minacce dirette o altri segnali che potessero far presagire la tragedia.
L’episodio è solo uno tra i più efferati accaduti ad Aden negli ultimi sei mesi e mostra la tensione crescente tra gruppi estremisti e bande criminali, come effetto collaterale di una guerra civile che vede ancora contrapposte le forze lealiste ai ribelli del Nord, gli houthi, afferenti al partito di ispirazione sciita Ansarullah.
Negli ultimi mesi, dopo la presa di Aden da parte dei governativi, gli attacchi di gruppi armati contro postazioni militari, esponenti politici e semplici cittadini sono aumentati su larga scala. La maggior parte degli attacchi è stata rivendicata sia dalla sigla locale del sedicente Stato Islamico (Isis) che da al-Qaida.
L’attacco alla casa delle suore di madre Teresa non è ancora stato rivendicato, ma le Nazioni Unite hanno definito il massacro «un atto barbaro e crudele» e hanno suggerito una responsabilità probabile da parte di militanti dello Stato Islamico, che «non hanno nulla di umano né di islamico». L’attacco – che ha provocato reazioni di choc, soprattutto per la diffusione in Yemen sui social media delle foto dei cadaveri delle suore assassinate – venne preceduto, nel dicembre scorso, da un chiaro segnale di intolleranza contro simboli religiosi che avrebbe potuto preludere a uno successivo e più violento. Il 9 dicembre degli sconosciuti attaccarono la chiesa cattolica del porto Sud di Aden, nel distretto di Mualla, danneggiandola e dandole fuoco. L’attacco seguiva di qualche giorno l’assassinio del governatore della città Jaafar Mohamed Saad. I residenti, interpellati dall’agenzia Reuters, dichiararono di avere avvertito una forte esplosione, poi un fumo nero e intenso nell’aria. Dopo pochi minuti avrebbero visto l’edificio crollare. La chiesa, intitolata all’Immacolata Concezione, era stata costruita nel periodo coloniale inglese, nel 1960, ed era già stata seriamente danneggiata dai bombardamenti della coalizione a guida saudita durante la guerra in corso.
La città di Aden, rispetto al resto del Paese, è stata sempre votata al cosmopolitismo. Sin dai tempi dell’impero britannico raccoglieva comunità induiste e cristiane, in linea con la sua vocazione portuale. La popolazione cristiana – in gran parte di nazionalità indiana o etiope – ha lasciato il Paese prima dell’inizio della guerra. Nell’arco dell’ultimo anno, altri sconosciuti avevano vandalizzato il cimitero cristiano e dato a fuoco a un’altra chiesa in città.
Anche a Sanaa – fino ai primi mesi del 2015 capitale formale del Paese – i cristiani hanno lasciato la città a guerra appena iniziata. La comunità locale di indiani ortodossi ha avuto sempre un punto fermo nella chiesa di Santa Maria dove, nell’ottobre 2014, si è svolta l’ultima celebrazione eucaristica ufficiale della comunità, alla presenza del metropolita di Ahmedabad, Pulikkottil Geevarghese Mar Yulios, accolto dal vicario della chiesa, Mathew Mathew, che, in quell’occasione, è stato sollevato dall’incarico per la fine della missione.