Viene celebrata oggi, 10 febbraio, la Giornata mondiale di digiuno a preghiera per la pace in Siria e Iraq. A lanciarla è la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre. Intanto la diplomazia arranca e la guerra continua.
(c.g./g.s.) – Viene celebrata oggi, 10 febbraio, Mercoledì delle ceneri e inizio di Quaresima secondo il rito romano, la Giornata mondiale di digiuno a preghiera per la pace in Siria e Iraq. A lanciarla è la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, che si occupa di sostenere la vita della Chiesa, nei Paesi in cui è perseguitata o priva di mezzi per realizzare la sua missione.
Oggi più che mai occorre pregare per la Siria. A Ginevra, in Svizzera, lo scorso 29 gennaio sono iniziati nuovi colloqui di pace, i terzi dopo quelli falliti nel giugno del 2012 e nel gennaio del 2014. L’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan De Mistura, è riuscito a portare al tavolo delle trattative sia il governo siriano, sia l’opposizione al presidente Bashar al-Assad (con l’esclusione ovvia dei fondamentalisti islamici). Alla vigilia della conferenza De Mistura ha indirizzato un messaggio video al popolo siriano, dicendo: «Di conferenze per la pace ne avete viste abbastanza; ce ne sono già state due e quest’ultima non può fallire… Vogliamo che sentiate che questa è la volta buona, faremo tutto quel che potremo».
Il fatto è che, dopo solo due giorni di lavori, i colloqui si sono «interrotti» (per riprendere, si spera, il 25 febbraio) a causa dell’incomunicabilità tra i partecipanti. Alcuni intricati nodi rimangono ancora da sciogliere: da una parte i rappresentanti dell’opposizione ad Assad chiedono lo stop dei bombardamenti russi come condizione per iniziare i colloqui; dall’altra i russi – che non hanno alcuna intenzione di fermare le operazioni militari – chiedono la partecipazione ai colloqui del Partito dell’unione democratica curda – inviso però alla Turchia -. La parte curda controlla buona parte del territorio nord-orientale della Siria ed è un valido nemico dello Stato islamico.
I colloqui appena partiti sono, insomma, già in bilico. E De Mistura ha ragione da vendere a temere le conseguenze del loro fallimento: in passato il nulla di fatto diplomatico ha sempre portato a un peggioramento delle condizioni dei civili, all’aumento del numero di morti, rifugiati e sfollati.
Nel luglio 2012, subito dopo i primi colloqui di Ginevra, le vittime del conflitto siriano erano 19 mila. Nell’ottobre 2013, poco prima l’inizio dei secondi colloqui, avevano già raggiunto quota 115 mila. Oggi, nella pausa dei terzi colloqui di Ginevra, le vittime del conflitto sono stimati dall’Onu in 250 mila. Quanti nuovi morti dovrà contare la Siria se falliranno anche questi colloqui?
Molte sono state le adesioni alla Giornata di preghiere a digiuno per la Siria e l’Iraq. Tra gli altri anche padre Jaques Murad, sacerdote siriano rapito per cinque lunghi mesi dallo Stato islamico – tra maggio e ottobre dello scorso anno – e poi fuggito rocambolescamente. «Sono lieto di partecipare e di essere assieme a voi in questa importante iniziativa – ha detto padre Jaques -, essenziale per il popolo siriano. La preghiera è veramente la fonte di tutti i miracoli che il buon Dio può realizzare ed è fondamentale credere alla sua forza. Oggi più che mai dobbiamo pregare affinché l’incontro a Ginevra si concluda bene e affinché il Signore illumini quanti vi partecipano e li aiuti a cercare davvero una via di uscita da questo massacro e la miseria che affligge l’innocente popolo siriano».
Anche padre Firas Lufti, francescano della custodia di Terra Santa che vive e lavora ad Aleppo – città che in questi giorni è teatro di una pesante controffensiva delle forze lealiste che ha determinato l’esodo di decine di migliaia di persone – ha aderito alla giornata. «A ormai cinque anni dall’inizio della guerra – spiega fra Lufti – il popolo siriano si sente abbandonato, con davanti a sé una tragica decisione da prendere: resistere o lasciare l’amata Siria in cerca di un futuro migliore. La vicinanza spirituale e nella preghiera fa sentire ai siriani che non sono soli di fronte a questa guerra infame e terribile. La Chiesa non ha mai smesso di aiutare e non ha perso neanche un’occasione per esprimere l’amore del Signore verso ciascuno e soprattutto verso gli ultimi. Cerchiamo di provvedere ai bisogni della popolazione: dall’acqua al cibo, al combustibile necessario a sopravvivere al freddo inverno. Aiutando la Chiesa sarete capaci di alleviare le sofferenze dei siriani, soprattutto di donne e bambini».
Domenica 7 febbraio, al termine della preghiera dell’Angelus in piazza San Pietro, anche Papa Francesco ha invitato i presenti «a pregare molto» per la Siria dicendo: «Con viva preoccupazione seguo la drammatica sorte delle popolazioni civili coinvolte nei violenti combattimenti nell’amata Siria e costrette ad abbandonare tutto per sfuggire agli orrori della guerra. Auspico che, con generosa solidarietà, si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e dignità, mentre faccio appello alla Comunità internazionale affinché non risparmi alcuno sforzo per portare con urgenza al tavolo del negoziato le parti in causa. Solo una soluzione politica del conflitto sarà capace di garantire un futuro di riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese».
Il 4 febbraio nel corso della quarta conferenza internazionale dei Paesi donatori che si è svolta a Londra, e a cui ha partecipato anche l’arcivescovo Paul R. Gallagher in rappresentanza della Santa Sede, sono stati promessi aiuti finanziari alla Siria per 10 miliardi di dollari. Attraverso i canali della Chiesa cattolica, ha detto mons. Gallagher, nel corso del 2015 sono giunti in Siria aiuti per un ammontare di 150 milioni di dollari. Un impegno che continuerà anche nell’arco del 2016. Per conto dell’Italia, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promesso 400 milioni.