L’occupazione militare israeliana in Cisgiordania impone molti limiti alla libertà di movimento dei palestinesi. Nel suo piccolo, Basel Sader, un 20enne di Gerusalemme Est, ha pensato di rendere la vita più semplice ai connazionali inventando un'App interattiva da usare sugli smartphone per sapere, in tempo reale, quanto sarà lunga l’attesa ai checkpoint dell'esercito di Israele.
Chi vive in Cisgiordania lo sa: la mattina sai quando esci di casa ma non sai mai quanto ci tornerai. Perché tra te e la tua meta – che sia il luogo di lavoro, l’università, la scuola – c’è sicuramente un checkpoint militare israeliano di mezzo. I tempi di percorrenza? Ogni volta un’incognita. Potresti impiegarci pochi minuti, una mezz’ora, più probabilmente un’ora. A volte molto di più. Quando attraversi un posto di blocco devi scendere dall’auto (se non ti muovi a piedi), farla controllare, mostrare i documenti ai soldati israeliani e ai contractor privati. E le file si allungano.
Tra i checkpoint militari che dividono la Cisgiordania dallo Stato di Israele e quelli interni ai Territori Occupati ce ne sono 96, secondo i dati dell’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem. A cui si aggiungono altri 360 posti di blocco “volanti”. Dividono le principali città palestinesi e bloccano gli ingressi di determinati villaggi. Dividono i contadini dalle proprie terre e le comunità in Area A (sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, il 18 per cento della Cisgiordania) da quelle in Area C (sotto il controllo israeliano, il 60 per cento). Una restrizione della libertà di movimento che, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento delle questioni umanitarie (Ocha), ha moltiplicato fino a cinque volte i tempi di percorrenza per decine di migliaia di persone.
Difficile riuscire a vincere i tanti ostacoli posti dall’occupazione militare israeliana ma, ha pensato Basel Sader, 20enne di Gerusalemme Est, si può rendere la vita un po’ più semplice. Pochi mesi fa ha inventato una App per iPhone e smartphone: si chiama Azmeh, che in arabo significa “ingorgo”, “traffico”. La accendi e ti dice, in tempo reale, quanto sarà lunga l’attesa ai checkpoint israeliani. Con i colori avverte della percorribilità: verde se non c’è traffico, giallo se ce n’è poco, rosso se i tempi di attesa sono lunghi e nero se il posto di blocco è chiuso.
Alle notifiche si aggiunge la possibilità per gli utenti di inviare messaggi e segnalare incidenti o chiusure di checkpoint o, addirittura, la comparsa improvvisa di blocchi volanti da parte della polizia o dell’esercito israeliano. Per ora Azmeh copre 47 checkpoint, ma presto amplierà la copertura. Alla lingua araba è stata affiancata una versione in inglese, per i tanti stranieri che lavorano in Palestina.
L’idea è nata, come spesso accade, dalla vita di tutti i giorni: Basel ha parenti sparsi tra Betlemme, Ramallah e Gerusalemme, gioca a basket nel campionato nazionale e si muove spesso per le partite, vive in una città (Gerusalemme) divisa dal resto della Cisgiordania dal muro israeliano. I posti di blocco sono la quotidianità: «Ci sono 100 checkpoint in Cisgiordania – ci spiega Basel –. Oltre ai varchi presidiati lungo il muro, ci sono i posti di blocco dentro la Cisgiordania, tra città palestinesi. È immensa la frustrazione di un palestinese che si deve svegliare alle 5 del mattino per attraversare un umiliante checkpoint per andare al lavoro, a scuola, all’università. Io ho solo 20 anni e sono un semplice studente di giurisprudenza, ma ho pensato che questa App potesse aiutare ad utilizzare meglio il nostro tempo. Lo so, non rimuoverà i posti di blocco militari, né farà scomparire il traffico. Ma sapendo in anticipo se ci sono ingorghi o meno, si può scegliere una via diversa».
La creazione di questo nuovo software è stato un lavoro di famiglia: a migliorare design e opzioni sono stati i fratelli di Basel che, sperimentandolo, hanno immaginato usi più ampi. In pochi mesi oltre 12mila utenti hanno scaricato nel proprio telefono l’applicazione e ogni giorno almeno mille persone la utilizzano.
Ma dietro Azmeh non c’è solo uno strumento per facilitare la vita. C’è una sfida: usare gli stessi mezzi dell’occupazione per migliorare la quotidianità. Soprattutto in un ambito, quello della libertà di movimento, che è tra i principali problemi per la popolazione palestinese. Sulla libertà di movimento si fondano tanti altri diritti basilari: quello all’istruzione, alla sanità, al lavoro, al commercio.
«Abbiamo usato ogni mezzo per ottenere i nostri diritti, dalle sollevazioni popolari al negoziato diplomatico fino all’aiuto internazionale – continua Basel – Ma niente ha funzionato. Chissà, forse con la tecnologia le cose potrebbero cambiare: non dico che Azmeh è una soluzione al conflitto, ma può essere una spinta per i palestinesi a sviluppare il settore delle start-up per migliorare la vita di tutti noi. Ma va fatta una precisazione: il mio obiettivo e quello del popolo palestinese non è raggiungere il punto in cui l’occupazione diventi tollerabile. Noi vogliamo raggiungere un altro punto: la fine dell’occupazione, la fine dei checkpoint, la libertà di usare la nostra acqua e le nostre risorse».