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Il vescovo Khairallah: «Noi libanesi per la dignità dei profughi siriani»

Laura Silvia Battaglia
26 gennaio 2016
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Il vescovo Khairallah: «Noi libanesi per la dignità dei profughi siriani»
Monsignor Mounir Khairallah.

Per i libanesi la parola accoglienza non fa rima con opportunità, ma con dignità. La dignità dei profughi dalla Siria accolti in gran numero in Libano. Come ci spiega monsignor Mounir Khairallah, vescovo maronita dell’eparchia di Batroun, uomo che ben conosce il suo Paese e la Chiesa orientale con le sue sofferenze.


Per i libanesi la parola accoglienza non fa rima con opportunità, ma con dignità. Monsignor Mounir Khairallah, vescovo maronita dell’eparchia di Batroun (nel nord del Libano) ha l’autorevolezza di un vero pastore e l’assertività di chi ben conosce la Chiesa orientale e le sue sofferenze. Ma soprattutto conosce bene il Libano e lo difende.

Spesso interpellato sulla situazione che il Paese sta affrontando, in termini di contenimento e assorbimento dei profughi siriani (una situazione che perdura da tre anni), ci tiene a rimarcare il senso dell’ospitalità orientale, senza fare troppo mistero del fatto che considera la politica europea ipocrita. «Se si pensa al significato che ha avuto la presenza siriana in Libano durante la guerra civile e se la si compara con la grande prova di maturità che i libanesi hanno dato accogliendo connazionali dei loro ex nemici, non si avrebbe alcun dubbio che ci trova dinnanzi a un grande Paese e soprattutto a una cittadinanza matura».

In Libano i siriani (1 milione e 500 mila persone che s’aggiungono a 4 milioni e 500 mila abitanti libanesi) esondano notevolmente dalla demografia locale di cui fan parte anche i 500 mila palestinesi che già abitano nei campi profughi. Del resto si sarebbe potuto fare a meno di accoglierli? «Fuggono la guerra e cercano una terra sicura: sarebbe umano negare loro tutto ciò? È appunto una questione di dignità».

Monsignor Mounir fa presente che questo sforzo non viene adeguatamente riconosciuto dalla comunità internazionale. «Questa accoglienza è encomiabile ma ha comunque un peso: si riflette sulla sostenibilità del Paese. I siriani sono accolti e non diventeranno mai cittadini, libanesi è vero, ma lavorano qui senza permesso di soggiorno e non pagano le tasse. La loro manodopera a basso prezzo droga il mercato del lavoro ed è anche una delle ragioni per cui molti giovani libanesi emigrano nuovamente. L’altro aspetto è il peso sui servizi: più abitanti in Libano significa più necessità di energia elettrica e di acqua corrente e potabile. Due beni di prima necessità di cui il Libano non dispone a sufficienza già per i suoi abitanti e per i campi dei palestinesi».

L’asticella demografica, con i siriani in Libano, cresce (in tre anni sono nati 250 mila bimbi siriani contro 130 mila libanesi) e non c’è alcuna legge che definisca con chiarezza la presenza siriana sul territorio, se non la registrazione delle nascite presso i comuni dopo la denuncia all’ambasciata siriana e a Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Di contro, la comunità internazionale non se ne occupa affatto e pure il documento Onu sulla possibile risoluzione del conflitto in Siria, non affronta, norma e calmiera, il ritorno in Siria dei rifugiati attualmente in Libano.

Sarà perché il Libano rimane nel cul-de-sac della politica del Mashrek, stretto tra i ricatti della Turchia e il conflitto drammatico in “Siraq”? Probabilmente. «Ma probabilmente anche perché il nostro modello di società, coesistente e condivisa, ottenuta dopo 15 anni di terribile guerra civile (1975-1990), non è molto di moda, in uno scenario internazionale che vuole incoraggiare lo scontro tra civiltà», osserva il presule. Da questo punto di vista il modello sociale del Libano, mosaico di confessioni, etnie e culture mediorientali, rimane valido, nonostante le sue pecche e difficoltà. «Vivere insieme è sempre possibile, come dice papa Francesco, nonostante i conflitti ci facciano disperare per questa soluzione. E la ricchezza del Libano sono i cristiani che vanno preservati e sostenuti. Sono ormai una piccola percentuale della popolazione, ma qualitativamente bastevole, nelle sue varietà, a rendere il Libano, dopo quel che è accaduto a Iraq e Siria, l’ultimo baluardo della complessità e ricchezza del Medio Oriente dentro un Paese forte della sua identità nazionale». Un Libano senza cristiani, dice mons. Mounir Khairallah, «sarebbe un tradimento per la storia tutta del Medio Oriente».

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