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Cantalamessa. L’amore rompe tutti gli schemi

Carlo Giorgi
21 gennaio 2016
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Cantalamessa. L’amore rompe tutti gli schemi
Padre Cantalamessa, con il saio bianco e la kefiah in testa, durante la registrazione di una trasmissione televisiva a Doha, in Qatar.

Padre Raniero, francescano cappuccino, uno dei volti più noti della televisione, ha viaggiato diverse volte in Terra Santa. Nel suo racconto, l’emozione legata alla visita ai Luoghi Santi e il loro messaggio di pace, dialogo e amore.


«Eravamo al Santo Sepolcro: io dovevo registrare per la Rai il commento del Vangelo di Pasqua. Avevo pensato di mettere in sottofondo Pavarotti che cantava «All’alba vincerò» dalla Turandot… era come se in quel momento Gesù cantasse: “All’alba risorgerò!” Lo ricorderò per sempre. I viaggi che ho fatto con la troupe televisiva in Terra Santa sono stati esperienze bellissime…».

Padre Raniero Cantalamessa, frate cappuccino, è uno dei volti più noti tra i religiosi impegnati nella pastorale televisiva. Dal 1994 al 2009 ogni sabato sera ha tenuto su Rai Uno la rubrica di spiegazione del vangelo della Domenica, Le ragioni della speranza. Annunciatore semplice e diretto della Parola, attento al dialogo ecumenico e interreligioso, da una vita (35 anni!) è il “predicatore” del Papa, essendo stato nominato nel 1980 Predicatore della Casa Pontificia da Giovanni Paolo II; incarico confermato poi da Benedetto XVI e, ultimamente, da papa Francesco.

«Con la tivù sono andato due volte in Terra Santa – racconta fra Raniero –: la prima volta abbiamo girato servizi nei classici luoghi di pellegrinaggio: Betlemme, Nazaret, Gerusalemme…; la seconda, abbiamo seguito il cammino dell’Esodo, dal Monte Nebo all’ingresso in Terra Santa. Ma tra i tanti viaggi, quello che rimane indimenticabile è il primo: io ero un giovane sacerdote e il clima politico era molto più tranquillo; ricordo che ogni cosa aveva il sapore della scoperta. Di tutti i luoghi visitati quello che mi fece più impressione fu il lago di Tiberiade, su cui facemmo una gita in barca; a differenza delle città e delle strade che nei secoli cambiano, le sorgenti, i fiumi, i laghi non mutano… mentre solcavamo il lago ero sicuro di fare lo stesso cammino che faceva Gesù».

Lei è noto anche come uomo di dialogo. Ha amici ebrei o musulmani?
Ho soprattutto relazioni con il mondo ebraico. In particolare penso alla bella amicizia con il rabbino Alon Goshen Gottstein, nata inaspettatamente da un problema che ebbi qualche anno fa. Nel 2010, in occasione del Venerdì Santo, ero stato chiamato da Papa Benedetto a predicare in San Pietro. Nel corso dell’omelia, in cui salutavo i nostri fratelli ebrei che celebravano la Pasqua negli stessi giorni, citai la bella lettera di un amico ebreo. Questo mio amico esprimeva la sua vicinanza alla Chiesa (in quel periodo il Papa stava subendo un attacco mediatico, a causa dell’emergere di scandali sessuali in diverse diocesi del mondo. Nella lettera l’amico ebreo scriveva: «L’uso dello stereotipo, il passaggio dalla responsabilità e colpa personale a quella collettiva mi ricordano gli aspetti più vergognosi dell’antisemitismo» – ndr). La lettura di questa lettera, in San Pietro, davanti al Papa, scatenò tutti i giornali del mondo che mi accusarono di aver dissacrato la Shoah. Mentre la mia intenzione era tutt’altra. Bene, senza che io ne sapessi nulla, il rabbino Gottstein che io non conoscevo, scrisse un articolo su un quotidiano israeliano, il Jerusalem Post, difendendomi e dimostrando di capire le mie vere intenzioni. In seguito siamo diventati amici. Gottstein ha fondato l’Elijah Interfaith Institute, un istituto per il dialogo interreligioso basato su un’intuizione interessante: il dialogo non è solo un fatto di diplomazia o di conoscenza dell’altro; ma è anche un modo per conoscere meglio sé stessi nel confronto con l’altro, consente cioè una maggiore comprensione della propria religione

Ma oggi il dialogo è davvero possibile? Pensando ai fondamentalismi religiosi, ai cristiani uccisi o rapiti dall’Isis, come padre Paolo Dall’Oglio, viene qualche dubbio…
San Francesco andò a parlare con il sultano Al Maliq, disarmato, e ne uscì vivo. La sua vicenda l’ho conosciuta dalle fonti; mentre la vicenda di Dall’Oglio l’ho conosciuta direttamente: feci una trasmissione televisiva proprio nel suo monastero, a Mar Musa, vicino a Damasco. Ho visitato quella sua magnifica opera, un luogo di dialogo. Ho un ricordo di padre Paolo veramente struggente… Sì, la vicenda di Francesco col sultano è stata un’eccezione, ma non l’unica se pensiamo ad esempio al rapporto di Francesco col creato. L’eccezione non è qualcosa che va «contro» il cristianesimo ma che esprime in maniera più libera e rivoluzionaria alcuni elementi del Vangelo che sono come «dormienti». Niente nei canoni della santità del Medio Evo preparava Francesco all’amore universale per le creature. E niente lo preparava a un atteggiamento verso l’Islam come il suo. Lui ha rotto gli schemi perché aveva lo Spirito di Gesù. Un po’ come l’attuale Papa: hanno la libertà dello Spirito per cui sono capaci di rompere gli schemi, fare cose a cui noi non pensiamo.

Ad esempio?
L’invito di Papa Francesco ad accogliere una famiglia di migranti in ogni parrocchia. Non è un invito ideologico ma una cosa coerente con tutta la sua vita e il suo pensiero. Può sembrare un po’ disorientante ma in fondo è alla nostra portata anche se può apparire difficile. E poi, in questi casi, bisogna andare al di là della prima impressione. Dopo averlo fatto, ci si accorge che era la cosa giusta da fare. D’altra parte se la Chiesa non dà l’esempio in questo ambito, le sue parole non sono credibili. Veramente. Grazie a Dio Papa Francesco sta guidando la Chiesa nella direzione del Vangelo, la stessa direzione di Gesù.

Purtroppo questo è un momento della storia in cui, soprattutto in Medio Oriente, sembrano moltiplicarsi i muri, gli odi, le guerre anche di tipo religioso. Quale può essere il ruolo dei cristiani?
Non conosco esattamente la situazione in Terra Santa ma vedo che è diffusa una certa paura. Calano i pellegrinaggi, molti si tirano indietro. È un peccato, speriamo che vengano tempi migliori. La situazione sembra talmente incattivita che forse deve avvenire qualche fatto storico traumatico, che trasformi tutto. Ma non è solo un problema di Israele, dove per i cristiani c’è protezione e libertà. In alcuni altri paesi del Medio Oriente i cristiani vivono come nella Roma dei primi secoli: appena c’è qualcosa, «ai leoni!». Senza dubbio negli ultimi cento anni ci sono stati più martiri che nei secoli precedenti. Sono i martiri di Cristo, quelli che danno la testimonianza più autentica perché è chiaro che morire in quella situazione, di fronte a quella violenza così estrema, con il nome di Gesù sulle labbra, è qualcosa che solo la grazia di Dio può dare. Qualche volta, quando ho occasione di parlare in ambienti ecumenici, dico: in quei Paesi non bruciano le chiese, non uccidono persone perché sono cattolici o pentecostali … ma semplicemente perché sono cristiani. Quindi, ai loro occhi, siamo già una cosa sola! E sarebbe proprio il caso di esserlo anche nella realtà, qui in Occidente.

Che messaggio si sente di dare a quei pellegrini che hanno deciso di non partire più per la Terra Santa?
Credo che chi non ci è stato mai dovrebbe, se può, fare quest’esperienza. Vedere coi propri occhi i luoghi di cui parla il Vangelo significa avere un occhio in più per leggere le scritture. Non è che sia importante in sé stesso perché, evidentemente, Gesù risorto è dappertutto. Però nel leggere il Vangelo avere visto quei luoghi aiuta a contestualizzare le parole, a metterle nell’ambiente concreto. Questo in fondo può servire perché noi non siamo fatti solo di cervello ma anche di occhi e di sensi.

 


 

Il predicatore del Papa

Oggi il rifugio di fra Raniero Cantalamessa, che ha da poco compiuto 81 anni, è un piccolo eremo di Cittaducale, paesino tranquillo collocato sugli Appennini, tra Rieti e l’Aquila, nell’esatto centro della Penisola. Dopo molti anni di instancabile attività e di predicazione, da lì si allontana solo in occasioni speciali: ad esempio, quando lo chiama il Papa per assolvere il suo incarico di predicatore della Casa pontificia (come è capitato lo scorso Avvento, in occasione di tre meditazioni proposte al Pontefice e alla curia romana) e per alcuni convegni e incontri internazionali.

Padre Cantalamessa, marchigiano d’origine, è stato ordinato sacerdote nel 1958, si è laureato in Teologia a Friburgo (Svizzera), e in Lettere classiche all’Università Cattolica di Milano dove ha insegnato per alcuni anni Storia delle origini cristiane ed è stato direttore del Dipartimento di scienze religiose.

Una svolta, per la sua vita, avviene nel 1979 quando decide di lasciare l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno alla predicazione. Questa sua scelta viene confermata nell’80 da Papa Giovanni Paolo II, che lo chiama a diventare predicatore della Casa pontificia. Oltre alla lunga attività televisiva, padre Raniero ha scritto decine di libri (dalla storia delle origini cristiane alla cristologia dei Padri, alla spiritualità) che hanno venduto decine di migliaia di copie.

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