Viene ordinato domani, sabato 19 dicembre, il nuovo arcivescovo latino di Izmir, in Turchia. È il domenicano mons. Lorenzo Piretto, 73 anni, di cui una buona metà trascorsi tra le comunità cristiane di Istanbul e dell’Egeo. Piretto è chiamato a reggere una diocesi che ha pochi fedeli ma un’estensione pari a quella della Grecia. Lo abbiamo intervistato.
Viene ordinato domani, sabato 19 dicembre, il nuovo arcivescovo latino di Izmir, in Turchia. È il domenicano mons. Lorenzo Piretto, 73 anni di cui una buona metà trascorsi tra le comunità cristiane di Istanbul e dell’Egeo. Izmir è l’antica Smirne, di cui parla san Giovanni nell’Apocalisse, e la diocesi che mons. Piretto è chiamato a reggere ha un’estensione enorme, pari all’intera superficie della Grecia. «Più dell’estensione, però, quel che mi preme è la storia di questa Chiesa – spiega nell’intervista concessa a Terrasanta.net -. È la Chiesa del concilio di Efeso, del 431, in cui Maria venne dichiarata Madre di Dio, in greco la Teotokos; qui secondo la tradizione la Madre di Gesù, accompagnata da Giovanni, avrebbe trascorso i suoi ultimi anni. Nella collina sopra Efeso c’è la sua casa, scoperta nell’800 e divenuta meta di pellegrinaggi anche per i musulmani. Questa è la terra di san Giovanni; e poi di san Policarpo e del suo allievo, sant’Ireneo… è una storia bellissima».
È una Chiesa con una grande storia ma di piccole dimensioni.
I cattolici, secondo l’Annuario pontificio 2015, sarebbero 15 mila. Nella città di Smirne potrebbero essercene in tutto 1.200. Il nostro è un mondo totalmente musulmano e si potrebbe pensare: cosa sono in questo contesto mille cristiani? Lo dirò domani, durante la mia ordinazione: non dobbiamo preoccuparci del numero ma di essere un’unica cosa, cioè fedeli seguaci di Nostro Signore. Ci penserà Lui a fare il resto. Possiamo essere segno di riconciliazione in questo momento di grandi tensioni; pacifici concittadini di questo Paese a cui vogliamo dare il nostro contributo di fraternità, giustizia, riconciliazione. Il prefetto, il sindaco e il muftì sono stati invitati alla mia ordinazione e tutti hanno assicurato che parteciperanno. Quella dei cristiani è una presenza che è accolta con simpatia e rispetto.
Ci presenti la diocesi: chi sono i suoi collaboratori?
I sacerdoti sono una decina, di cui tre fidei donum – due italiani e un francese -, uomini di fede che lavorano bene. Come religiosi abbiamo i Domenicani, i Cappuccini, i Frati Minori e i Fratelli delle scuole cristiane (fondati da san Giovanni Battista de la Salle nel Diciassettesimo secolo – ndr). Le suore dell’Immacolata Concezione di Ivrea hanno una scuola italiana, materna ed elementare. Il liceo San Giuseppe, dei Fratelli delle scuole cristiane, è frequentato da musulmani e gestito da laici che sono stati formati allo spirito dei lasalliani. Da poco abbiamo la presenza di laiche consacrate che vengono dal sud Italia. Due di loro hanno cominciato ad Efeso un servizio di accoglienza presso la casa della Vergine Maria. È una cosa nuova su cui dobbiamo lavorare in questo anno della Misericordia. Dobbiamo cercare mille modi per far sì che la presenza di Maria arrivi; e lo scopo di questa presenza è portare il Signore Gesù. Vedo tanti segni di speranza, nonostante la nostra piccolezza e la nostra povertà. Con la grazia di Dio le cose impossibili possono diventare possibili.
Lei vive in Turchia dagli anni Ottanta. Com’è cambiato il Paese in questi decenni nei confronti dei cattolici?
Difficile fare una valutazione. Da una parte, c’è accoglienza e apertura. Dall’altra, l’idea di essere una Chiesa «straniera». Non dimentichiamoci che in Turchia la Chiesa cattolica non è riconosciuta ufficialmente. Inoltre fino a una quindicina d’anni fa non c’era da parte dei cattolici l’impegno per una vera inculturazione. Va detto però che in Turchia ci sono possibilità che mancano in altri Paesi: ad esempio, la libertà religiosa è prevista dalla Costituzione. Quindi in chiesa possiamo fare tutto ciò che riguarda la nostra fede. Io ho insegnato 13 anni il latino alla facoltà islamica dell’Università di Marmara, a Istanbul. Posso testimoniare la disponibilità delle persone ad ascoltare, la curiosità nei confronti del cristianesimo. Le domande degli studenti erano animate da un desiderio sincero di conoscenza. Miei vecchi studenti che ora sono diventati professori alla facoltà di teologia islamica mi hanno mandato gli auguri per la mia ordinazione episcopale! La Turchia è ufficialmente uno Stato laico, ma negli ultimi anni ci sono state delle evoluzioni nella prospettiva di chi è al potere. Questo potrebbe anche essere positivo per noi cristiani: se infatti pensiamo a un laicismo di tipo francese, duro e crudo, in cui la Chiesa è messa al margine è meglio uno spirito maggiormente aperto alla fede cristiana.
Papa Francesco, il 30 novembre, in occasione della festa di sant’Andrea, ha detto che i tempi sono maturi per una maggiore unità con gli ortodossi. Come si vive l’ecumenismo nel Paese che ospita il patriarca ecumenico di Constantinopoli?
Faccio l’esempio della mia ordinazione: oltre agli altri vescovi cattolici latini della Turchia – mons. Paolo Bizzeti, neo-nominato vicario apostolico dell’Anatolia e mons. Luis Pelatre, vescovo di Istanbul – ci sarà l’arcivescovo degli armeni, Boghos Zekiyan. Verranno i vescovi siro-cattolici e caldei, l’arcivescovo armeno apostolico, due metropoliti siro-ortodossi, il rappresentante del patriarca Bartolomeo I e i pastori protestanti delle Chiese riconosciute, anglicana e turco luterana. Sarà una bella occasione di unità.
Che motto ha scelto per il suo ministero?
Una sola parola: Misericordia. L’ho scelta per tre motivi. Il primo è che è appena iniziato il Giubileo della Misericordia e mi sono sentito come obbligato; il secondo è che tra i domenicani, da cui provengo, quando un giovane si presenta per la cerimonia della vestizione, il superiore gli domanda: «Che cosa chiedi?» E lui risponde: «La misericordia di Dio e dell’Ordine». Infine ho pensato a quanto sia stato misericordioso il Signore, in tutta la mia vita.