Ogni anno, il 14 novembre, ricorre la memoria dei santi Nicola Tavelic´ e Compagni martiri, francescani missionari in Terra Santa che in quel giorno nel lontano 1391 completarono con la testimonianza suprema la loro vita terrena. Nel convento di San Salvatore a Gerusalemme lo scorso anno è stata realizzata una nuova cappella e si è scelto di dedicarla a questi frati coraggiosi e virtuosi, che furono i primi martiri della Custodia di Terra Santa. Per l’occasione è stata commissionata una nuova icona che, durante la messa nel giorno della memoria dei santi, è stata solennemente benedetta dal padre Custode, fra Pierbattista Pizzaballa. L’icona rappresenta san Nicola Tavelic´ e ai suoi piedi i compagni martiri (Stefano da Cuneo, Deaodato Aribert da Ruticinio e Pietro da Narbona); secondo l’iconografia della Chiesa antica, i santi che condividono la gloria con un santo principale, sono posti ai suoi piedi e rappresentanti in dimensione nettamente inferiore alla sua. Sul lato sinistro dell’icona è rappresentato il monte Sion e il convento che fu la casa di questi frati, la dicitura ne indica la funzione: Conventus in Monte Sion: locus fraternitatis. L’immagine è la copia di un disegno del XVI secolo realizzato da un frate il quale riprodusse la struttura del grande convento francescano che fu la sede principale dei frati della Custodia fino alla loro cacciata ad opera dei musulmani nel 1551. Sul lato destro dell’icona, sempre su un monte, che nell’iconografia è reso con rocce a gradoni squadrati dall’aspetto surreale e non realistico, si trova la porta di Giaffa, il luogo del martirio, con la dicitura: Portæ Iaffæ: locus martyrii. Gli oggetti presenti tra le mani del santo hanno tutti un significato: la palma indica che il santo è un martire, la croce indica che il suo martirio è stato per la fede nel Cristo crocifisso e per non aver abiurato alla fede cristiana; la spada, indica lo strumento con cui ha subito il martirio, in questo caso per decapitazione, anche se poi i corpi dei frati furono bruciati perché non rimanessero resti mortali da poter venerare.
Ho deciso di presentare questa icona perché credo che la storia di questi martiri abbia allo stesso tempo qualcosa di anacronistico e moderno, qualcosa di assurdo e affascinante, una vera lezione di storia per i nostri giorni. Papa Paolo VI nel 1970 li dichiarò santi dopo un lungo discernimento sul fatto se fosse possibile considerare valido un martirio che all’apparenza sembrava cercato, quasi indotto. Nel testo della sua omelia nel giorno della canonizzazione troviamo parole molto profonde e la chiave di lettura di quell’atto di grande coraggio e non tanto di temerarietà e stoltezza. Il Santo Padre, spiegando la incomprensibile azione dei martiri francescani disse: «…riferendosi al nostro caso, vi possono essere situazioni in cui, o per impulso dello Spirito Santo, o per altre speciali circostanze, l’araldo del Vangelo non ha altro modo per scuotere l’infedeltà che quello di fare del proprio sangue la voce d’una estrema testimonianza. Testimonianza indubbiamente paradossale, testimonianza d’urto, testimonianza vana, perché non subito accolta, ma sommamente preziosa, perché convalidata dal totale dono di sé; testimonianza che mette in suprema evidenza che cosa sia martirio. Esso dovrebbe essere subìto, passivo; nel linguaggio agiografico si chiama passio; ma non è mai privo di un’accettazione volontaria, attiva; che nel nostro caso prevale e perciò maggiormente risplende».
Facendo nostre le parole del papa, cogliamo un grande insegnamento dalla loro testimonianza; ricordando san Nicola Tavelic´ e i suoi compagni, la memoria diviene attualità, li guardiamo in un’icona e la storia diventa maestra. La loro esperienza pone un confronto fra queste lontane figure di frati idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della fede, perciò martiri; e la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e che, priva di principii superiori ed interiori, trova logico il conformismo alle idee correnti. Essi quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la moda. Lontani e vicini essi sono pur nostri, e ci ammoniscono e ci esortano: bisogna avere il coraggio della verità! Il coraggio cristiano.
Eco di Terrasanta 1/2016
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