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Una favola amara sulla condizione delle donne in Turchia

Frei Jorge Egídio Hartmann OFM
3 novembre 2015
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Una favola amara sulla condizione delle donne in Turchia

Fa pensare e stupisce Mustang, il film opera prima della giovane regista turca Deniz Gamze Ergüven, nelle sale italiane in questi giorni. Mustang è una denuncia sulla condizione femminile in Turchia. Un film che da una parte colpisce allo stomaco, essendo semplice e crudo come un’opera neorealista, dall’altra incanta e coinvolge perché utilizza il linguaggio delle favole.


Fa pensare e stupisce Mustang, il film opera prima della giovane regista turca Deniz Gamze Ergüven, nelle sale italiane in questi giorni. Mustang è una denuncia sulla condizione femminile in Turchia. Un film che da una parte colpisce allo stomaco essendo girato in modo semplice e crudo come un’opera neorealista, dall’altra incanta e coinvolge, perché utilizza il linguaggio delle favole, le citazioni e i simboli di quelle stesse storie che ci raccontavano da bambini.

La vicenda narrata è quella di cinque sorelle adolescenti, piene di vita e molto unite tra loro, che abitano in un villaggio della Turchia profonda, ancora tradizionalmente islamica, lontana anni luce dall’Europa. Anzi, il loro villaggio è lontano «mille chilometri da Istanbul», come dice la più piccola di loro, con parole evocative. Le sorelle vivono e ragionano esattamente come ogni altra adolescente europea: sognano il grande amore, amano divertirsi, scegliere i propri vestiti, uscire con gli amici e andare a scuola. Orfane di entrambi i genitori, però, sono affidate alle cure di uno zio dispotico e di una nonna ansiosa e zelante.

Accade che l’ultimo giorno di scuola, per festeggiare la fine delle lezioni, le ragazze si intrattengono sulla spiaggia con dei compagni. Si gioca, ci si bagna, si ride insieme. Niente di più. Ma è quanto basta per scandalizzare una vicina di casa, che – animata da intransigente moralismo – denuncia il fattaccio alla nonna. È la fine della loro libertà. Le ragazze vengono progressivamente chiuse nella casa castello dello zio, viene loro negato l’accesso ad internet, al telefono, agli amici e anche alla scuola. Devono vestirsi al modo islamico, con vestiti che non avrebbero mai scelto. Arrivano a vivere da recluse. E una dopo l’altra vengono promesse spose, loro malgrado, a ragazzi che non hanno mai visto prima. Fino all’esito più tragico. Solo le due più piccole riescono a liberarsi dal giogo arrivando a scorgere, alla fine di una notte di fuga, l’alba che sorge su Istanbul.

La forza di denuncia del film sta nella sua semplicità narrativa. Le cinque sorelle di Mustang permettono alla regista di raccontare – come si fa in una favola – cinque possibili reazioni all’imposizione del matrimonio combinato, pratica ancora comune in diverse regioni della Turchia: la rassegnazione, la disperazione, il rifiuto, la fuga e – solo in un caso – la felicità. Ci sono molte favole che riconosciamo in filigrana nel film: c’è Cenerentola, che deve vivere come una serva in casa sua, senza poterne uscire mai, sognando un principe-marito che le voglia bene; c’è un po’ di Hansel e Gretel, i fratellini che vengono abbandonati da padre e matrigna nel bosco e se la cavano grazie all’affetto che li lega. E c’è soprattutto Barbablu, fiaba nera di Charles Perrault, autore francese del Seicento, in cui un feroce marito uccide le sue prime sei mogli in una stanza segreta del castello, sempre chiusa a chiave. E la settima e ultima moglie, Anna, si salva solo grazie all’alleanza con la sorella e all’arrivo risolutore di un fratello cavaliere.

Arriva in effetti anche qui, per le due sorelle fuggitive, un cavaliere (il giovane fruttivendolo del villaggio, con il suo camion sgangherato) che porta le ragazze, nel cuore della notte, al capolinea del pullman per Istanbul, al loro appuntamento con la libertà.

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