Come sta reagendo l'opinione pubblica israeliana all'impennata della violenza palestinese che si registra da inizio ottobre? L'atteggiamento varia a seconda delle appartenenze etniche e politiche. Lo mette bene in luce L'indice della pace, registrato mensilmente, tramite sondaggi d'opinione, dall’Istituto per la democrazia in Israele. Ecco alcuni dei risultati.
(g.s.) – Mensilmente l’Istituto per la democrazia in Israele (Idi) – un «pensatoio» indipendente, con sede a Gerusalemme, che si propone di rafforzare le fondamenta della democrazia israeliana – tasta il polso dell’opinione pubblica nazionale attraverso sondaggi demoscopici. Le rilevazioni confluiscono nel progetto denominato L’indice della pace, che da una decina d’anni valuta il mutare degli umori del pubblico, determinato dall’incalzare della cronaca.
Il sondaggio condotto il 28 e 29 ottobre scorso non poteva che registrare le ripercussioni di settimane di attacchi palestinesi all’arma bianca o di attentati portati a termine alla guida di automobili sia in Cisgiordania – in particolare vicino alla città di Hebron – sia sul territorio israeliano, essenzialmente nei dintorni di Tel Aviv e di Gerusalemme. Per conto dell’Idi i sondaggisti dell’Istituto di ricerca Midgam hanno contattato telefonicamente un campione di 600 israeliani maggiorenni, maschi e femmine, arabi ed ebrei, di varie estrazioni sociali e tendenze politiche (il tasso di attendibilità del sondaggio è del 95 per cento e il margine d’errore è ± 4,1 per cento).
Dagli esiti dell’indagine emerge che il 74 per cento degli intervistati ebrei non accetta di mettere gli attentati in relazione con la frustrazione e la disperazione del popolo palestinese (per l’assenza di progressi nel processo di pace). Una correlazione che invece esiste secondo il 50 per cento degli arabi israeliani.
Il 57 per cento del campione statistico di ebrei considera se stesso o qualcuno dei propri cari come possibile vittima di attentati. Tra i palestinesi con cittadinanza israeliana la percentuale si impenna fino al 78 per cento, segno che essi temono di poter subire anche le rappresaglie dei concittadini ebrei. Il 64 per cento degli ebrei israeliani dice di non aver cambiato le proprie abitudini di vita in seguito alla nuova ondata di violenza (che prosegue anche in novembre). Abitudini che sono invece mutate per il 53,5 per cento di arabi israeliani.
I dati sembrano confermare che in momenti di alta tensione scema la capacità di discernere lucidamente le responsabilità. Il 53 per cento degli intervistati ebrei si è detto favorevole alla seguente affermazione: «Qualunque palestinese che abbia portato a termine un attacco terroristico contro degli ebrei dovrebbe essere ucciso sul posto, anche se è stato catturato e non rappresenta più una minaccia». Un consenso che varia in base all’area politica a cui fanno riferimento i componenti del campione: è d’accordo il 76 per cento di chi si riconosce nella destra, il 58,5 per cento di chi vota il centrodestra, il 37 per cento di chi è per il centro, il 28 per cento di chi si riconosce nel centrosinistra e il 23 per cento di chi sta a sinistra.
È giusto, come misura di ritorsione, abbattere l’abitazione della famiglia di un palestinese che ha ucciso degli ebrei per motivazioni nazionalistiche? 8 ebrei israeliani su 10 dicono di sì, ma il discorso cambia se si invertono le parti: solo il 53 per cento degli intervistati ebrei sarebbe favorevole alla distruzione della casa di famiglia di un terrorista ebreo. Il 77 per cento degli arabi israeliani è contrario a questa odiosa forma di rappresaglia contro i palestinesi e il 67 per cento non auspicherebbe tale misura neppure per un terrorista ebreo.
I tribunali israeliani hanno la mano troppo leggera contro gli imputati di terrorismo palestinesi per il 70 per cento degli intervistati ebrei. Quando però l’imputato è un ebreo le pene inflitte dai giudici sono troppo lievi solo per il 35 per cento degli ebrei israeliani. Va da sé che la percentuale cambia tra gli arabi israeliani: 6 su 10 pensano che le pene inflitte agli attentatori palestinesi dai magistrati dello Stato ebraico siano troppo pesanti, mentre il 52 per cento reputa troppo leggere quelle comminate agli imputati ebrei di simili reati.