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Il ritorno di Mohammed Dahlan

Lorenzo Nannetti
8 ottobre 2015
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Il ritorno di Mohammed Dahlan
Mohammed Dahlan, al centro, in uno scatto del 2006. (foto Michal Fattal/Flash90)

Mentre la questione israelo-palestinese torna alla ribalta dei media a causa dei recenti scontri e attentati, sta sfuggendo all’attenzione di molti un’altra sfida che, apparentemente marginale, potrebbe invece determinare il futuro dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp): la sfida per il suo controllo. Tra i contendenti rientra in scena Mohammed Dahlan.


Mentre la questione israelo-palestinese torna alla ribalta dei media a causa dei recenti scontri e attentati, sta sfuggendo all’attenzione di molti un’altra sfida che, apparentemente marginale, potrebbe invece determinare il futuro dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp): la sfida per il suo controllo.

In questi anni abbiamo sempre associato l’Anp al suo leader: il presidente Mahmoud Abbas (più noto in Italia come Abu Mazen). Ogni dubbio circa la sua capacità di mantenere il potere ha riguardato solo Hamas. Se vengono indette nuove elezioni e Hamas partecipa, Abu Mazen sarà riconfermato o sarà invece un esponente del movimento islamista che controlla Gaza a vincere? Il fatto che le elezioni vengano continuamente rimandate sembrava avvalorare l’idea che la paura maggiore per il leader dell’Anp sia proprio questa.

Ciò che è invece passato un po’ più sotto traccia è l’emergere di un altro contendente che da anni non viene quasi più menzionato: Mohammed Dahlan. Chi rammenta gli eventi dal 2006 in poi, ricorderà come Dahlan fosse il capo della sicurezza di al-Fatah a Gaza. Nella sua veste di principale oppositore di Hamas nella Striscia, venne sconfitto nel 2007, quando gli islamisti assunsero, armi in pugno, il pieno controllo di quel lembo di terra. Successivamente è stato esiliato dai Territori Palestinesi trovando rifugio all’estero e recentemente ha affermato di essere intenzionato a correre contro Abu Mazen per la presidenza dell’Anp.

Perché la vicenda di Dahlan dovrebbe interessarci? Perché al di là della sfida politica, alcuni particolari ci aiutano a capire cosa potrebbe presto accadere.

L’opinione pubblica palestinese è molto delusa dalla sua attuale leadership politica. Di fronte al blocco dei negoziati e alla politica di appoggio alle colonie del premier israeliano Benjamin Netanyahu, Abu Mazen viene considerato ugualmente incapace di cambiare la situazione e anche i parziali riconoscimenti internazionali (come il vedere finalmente la bandiera palestinese sventolare davanti al Palazzo di Vetro dell’Onu) di fatto paiono inutili se confrontati con la situazione sul campo, dove le speranze continuano ad essere frustrate. Detto in altri termini, l’attuale amministrazione palestinese è vista come incapace sia di convincere sia di costringere Israele a cambiare politica. Questo, oltre ad aprire la porta a una recrudescenza degli scontri (come quelli degli ultimi giorni) dove la violenza è vista come unico sfogo allo stallo, rende possibile l’ingresso di personaggi proprio come Dahlan.

Ha la fama di duro Dahlan. Ha guidato la lotta di Fatah contro Hamas a Gaza e odia il movimento islamista. A 54 anni si propone come un leader energico capace di cambiare davvero le cose. Ma è anche stato esiliato dalla Cisgiordania con accuse di corruzione quando ha iniziato ad opporsi politicamente ad Abu Mazen.

Per altre persone questa avrebbe potuto essere l’inizio della fine politica, ma per Dahlan è invece stato un nuovo inizio: rifugiatosi negli Emirati Arabi Uniti è diventato consigliere del sovrano locale. Come inviato degli Emirati negli ultimi anni ha girato l’Europa e il Medio Oriente, come diplomatico, contribuendo, tra le altre cose, a mediare gli accordi diplomatici tra Egitto ed Etiopia circa il progetto della Renaissance Dam, la diga che varierà la portata del fiume Nilo. Ma Dahlan è anche una persona controversa: in Medio Oriente come in Europa si fa accompagnare da due guardie del corpo gigantesche; chiede pressantemente armi e appoggi per combattere il terrorismo; è considerato uno strumento degli Emirati, più che un politico indipendente.

Proprio questo è il punto: gli Emirati hanno dato a Dahlan asilo nel bisogno, lo hanno inviato per il mondo, lo proteggono e gli hanno permesso di prendere la cittadinanza serba – in cambio di investimenti commerciali nel Paese balcanico – così da non essere più apolide, ma avere un Paese amico che lui possa usare come «base». Come gli Emirati, Dahlan disprezza la Fratellanza Musulmana e Hamas ed è stato visto più volte tra Roma e Bruxelles a chiedere sostegno per combatterli in Nord Africa. Presto sfiderà Abu Mazen, contro il quale ha già riportato una vittoria: una corte palestinese ha confermato la sua immunità parlamentare, che lo protegge dall’accusa di corruzione. Uno smacco per l’attuale leader dell’Anp, che ci porta a fare tre considerazioni.

La prima è che grazie agli Emirati, Dahlan ha forti appoggi (economici e politici) che potrebbero effettivamente farlo vincere, soprattutto se riuscisse a convincere un’opinione pubblica che, come detto, è stanca dei vecchi leader.

La seconda è che se diventasse presidente dell’Anp, Dalhan difficilmente lavorerebbe per l’unità politica palestinese. Anzi, sarebbe il più strenuo antagonista di Hamas (e questo ci fa capire che tra i suoi potenziali «sponsor» potrebbe esserci perfino Israele).

Terzo: difficilmente Dahlan potrebbe essere davvero indipendente, visto il forte debito che ha con gli Emirati. È presumibile che continuerebbe a fare i loro interessi.

Tutto ciò ci conduce a una considerazione finale: Dahlan sicuramente cambierebbe gli equilibri del mondo palestinese, ma saprebbe anche portare in dote un futuro migliore? Questo al momento non appare probabile: di fronte a una recrudescenza dell’odio reciproco tra israeliani e palestinesi, la risposta della classe politica palestinese è una lotta interna per il potere, sempre più influenzata da attori esterni. Nel frattempo il conflitto, lasciato a se stesso, continua la sua spirale negativa.

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