Ricorre quest’oggi, 28 ottobre, il cinquantesimo anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate. A mezzo secolo da un documento che ha introdotto tanti cambiamenti nei rapporti tra cattolici e seguaci di altre fedi, le Edizioni Terra Santa pubblicano un libro del prof. Riccardo Burigana intitolato Fratelli in cammino. Vi proponiamo qui la prefazione al volume scritta dal card. Francesco Coccopalmerio.
Ricorre quest’oggi, 28 ottobre, il cinquantesimo anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate, sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane. A mezzo secolo da un documento che ha introdotto tanti cambiamenti nei rapporti tra cattolici e seguaci di altre fedi – in particolare, ma non solo, nelle relazioni con gli ebrei – le Edizioni Terra Santa pubblicano un libro del prof. Riccardo Burigana dedicato alla Nostra aetate e intitolato Fratelli in cammino. Riproduciamo qui la prefazione al libro, scritta dal cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi e membro del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
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La dichiarazione Nostra aetate costituisce uno dei testi fondamentali del Concilio Vaticano II per il suo contenuto e per la sua recezione: Nostra aetate ha aperto nuove prospettive alla Chiesa Cattolica nella riflessione e nella testimonianza dell’importanza del dialogo, fondato sull’accoglienza dell’altro, la conoscenza dell’altro, la condivisione dei “doni” dell’altro. Non è stato facile giungere alla promulgazione del documento per la novità delle questioni affrontate e per il suo portare con sé uno dei temi sui quali i padri conciliari si erano più a lungo interrogati, cioè il rapporto tra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico.
Il Vaticano II rappresenta un passaggio storico di questo rapporto proprio per il dibattito che ha accompagnato la redazione di Nostra aetate e di altri documenti, tra i quali in particolar modo Lumen gentium e Dei Verbum. Nel dibattito conciliare era evidente che in tanti si adoperavano per superare una lunga stagione nella quale cristiani ed ebrei si erano allontanati, avevano smesso di conoscersi, avevano generato diffidenza e pregiudizi, perdendo di vista la comune radice. Con il Concilio si apre una nuova fase di dialogo nella quale appare centrale l’amore che i cristiani devono avere nei confronti del popolo ebraico, il «popolo eletto» che Dio ha amato e ama fino all’eternità. Tra i messaggi più preziosi lasciati dal cardinale Carlo Maria Martini, è proprio questo amore a dover guidare i cristiani nella loro vita, alla luce della Parola di Dio che aiuta a comprendere come le promesse di Dio agli ebrei siano eterne, irrevocabili, segno di una chiamata che non è mai venuta meno. Per questo non si può più cristianamente sostenere la dottrina cosiddetta “della sostituzione” secondo la quale la Chiesa, nuovo popolo di Dio, avrebbe sostituito Israele, come se fosse venuta meno la sua elezione a popolo di Dio. Il cardinale Martini ci ha insegnato a rileggere le Sacre Scritture per creare questo rapporto con il popolo ebraico anche grazie alla dichiarazione Nostra aetate, che condanna l’antisemitismo e mostra le ricchezze che le comunità possono ricevere nel vivere e testimoniare il dialogo, creando ponti con i quali costruire la pace nella giustizia.
Il dialogo ebraico-cristiano, a partire dal Vaticano II e poi nella lunga stagione della recezione del Concilio, è stato importante anche per una migliore comprensione della chiamata al dialogo ecumenico dei cristiani che non possono più accettare le divisioni come qualcosa di ineluttabile, ma devono scoprire ciò che già li unisce proprio a partire dalla comune radice che li rende «fratelli minori» degli ebrei. Da questo punto di vista la Giornata nazionale per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico, che dal 1990 si celebra il 17 gennaio proprio alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, è stato un gesto significativo che ha dato l’opportunità a tanti di promuovere «la riscoperta dei comuni valori biblici», per riprendere le parole di mons. Alberto Ablondi, al quale si deve tanto dell’istituzione di questa Giornata da parte della Conferenza Episcopale Italiana.
Indubbiamente Nostra aetate è molto altro rispetto a un semplice documento sui rapporti tra la Chiesa e gli ebrei; infatti la dichiarazione presenta le religioni orientali (buddismo e induismo in particolare), l’islam e la dimensione della fraternità universale in una forma positiva, cercando di cogliere gli elementi in grado di porre le basi per il superamento di una lunga stagione di diffidenze e scarsa conoscenza reciproca; pur consci delle difficoltà che si sarebbero incontrate, l’obbiettivo era aprire un tempo nel quale costruire un dialogo per proporre i valori umani della libertà, della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato sui quali le religioni possono e devono dire una parola al mondo. Grazie alla profetica intuizione di Paolo VI che ha istituito, nella Pentecoste 1964, il Segretariato per il dialogo con le religioni quale organismo della Curia romana, assecondando in questo un desiderio che in tanti avevano manifestato durante le prime Sessioni conciliari, si è potuta avere una casa nella quale costruire un dialogo interreligioso che ha dato frutti e speranze non solo per esprimere con chiarezza la condanna di ogni forma di violenza – tanto più quella che si nasconde dietro un’invocazione di matrice religiosa – ma per proporre iniziative condivise con le quali superare i pregiudizi che per secoli hanno impedito a uomini e donne di buona volontà di costruire insieme la pace. Dopo i passi compiuti da Paolo VI, Giovanni Paolo II ha voluto riaffermare l’importanza del dialogo interreligioso, offrendo spesso una lettura di Nostra aetate che nasceva proprio dalla sua esperienza in concilio; da questa lettura sono nati tanti gesti, tra i quali l’incontro delle religioni per la pace ad Assisi il 27 ottobre 1986 e la visita alla sinagoga di Roma, il 13 aprile dello stesso anno, sono stati due tappe di un cammino che la Chiesa Cattolica ha intrapreso con la celebrazione del Vaticano II e non ha più abbandonato, cercando anzi di rafforzarlo e radicarlo nella vita quotidiana delle comunità locali, secondo le parole di Benedetto XVI e soprattutto le tante iniziative di papa Francesco, che ha posto al centro del suo magistero proprio la costruzione di una cultura dell’accoglienza fondata sull’ascolto e il dialogo.
Di Nostra aetate, che è la fonte e il punto di riferimento di questa nuova stagione della Chiesa Cattolica, Riccardo Burigana presenta la storia della redazione, mettendo in evidenza i passaggi che hanno portato alla promulgazione di un documento tanto diverso e tanto nuovo rispetto a quello che era stato immaginato da papa Giovanni; dalla lettura di questo lungo iter redazionale emerge come il concilio maturò l’idea che fosse necessario proporre un testo nel quale delineare questa nuova prospettiva di dialogo con le altre religioni all’interno di un cammino di aggiornamento e di rinnovamento per rendere sempre più efficace la missione della Chiesa grazie a una migliore comprensione delle ricchezze e delle povertà della tradizione plurisecolare della testimonianza cristiana. Nella ricostruzione della redazione di Nostra aetate Burigana, che da anni si dedica con passione e competenza allo studio del movimento ecumenico e del Concilio Vaticano II, fa ricorso alla documentazione edita, e talvolta ancora inedita, che negli ultimi tempi ha consentito una conoscenza più approfondita del Vaticano II; questa ricostruzione, provvisoria come tutte le ricostruzioni storiche, contribuisce in modo originale e significativo al recupero della complessità del Concilio: un evento nella storia del cristianesimo del XX secolo che ha coinvolto le comunità locali ponendo delle questioni che rimangono tuttora di grande attualità, come tante volte papa Francesco ricorda, una fonte preziosa alla quale i cristiani devono tornare continuamente per sostenere la loro opera di annuncio dell’Evangelo.
Ripercorrere la storia della redazione di Nostra aetate e rileggere i tanti temi che sono stati affrontati durante il dibattito, dentro e fuori dall’aula, per la definizione di una dichiarazione sulle religioni non cristiane, costituisce non solo un passaggio utile per la conoscenza di una pagina tanto importante per la storia del cristianesimo, ma è un invito a comprendere quanto attuali siano le parole del concilio: «Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, la Chiesa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino» (Nostra aetate 1).
card. Francesco Coccopalmerio