Nel mare della vita
Durante l’estate appena trascorsa ho avuto l’occasione di vivere una bellissima esperienza in mare. Mentre mi trovavo per alcuni giorni con i miei genitori sull’isola di Lampedusa, ospite di amici di famiglia, una mattina all’alba siamo salpati dal porto con un peschereccio e siamo stati in compagnia di un gruppo di pescatori che uscivano in mare aperto per la pesca. Non era la prima volta che viaggiavo su una nave, ma in assoluto è stata la prima volta che ho saltato dalla banchina del porto per imbarcarmi, mentre il peschereccio oscillava leggermente trattenuto vicino al porto da grosse corde. Seduto a prua, ho trascorso alcune ore a contemplare il mare, le onde, il vento e l’orizzonte… che immensità meravigliosa! La calma del mattino, il rumore del motore e delle onde che sbattevano con forza contro la nave che le infrangeva, sobbalzando a volte in modo molto brusco, il vento che soffiava forte e fresco sul mio viso, hanno creato un ambiente ideale perché la mia mente spaziasse e si immergesse in pensieri e riflessioni intense sul mare, sul Creatore, sugli Apostoli pescatori di pesce e poi di uomini, su san Paolo e i suoi viaggi e sulla piccolezza dell’uomo. Non ho potuto evitare di pensare a quanto l’acqua e il mare fossero presenti nel testo biblico e in tutta la storia della Salvezza.
Ad uno sguardo complessivo si può affermare che una considerevole parte della tradizione biblica fa riferimento all’acqua come elemento fondamentale della struttura del mondo (in Genesi 1,6: «Divise poi in acque superiori ed inferiori»). Essa è principio di vita e di morte a seconda della situazione in cui si trova e in cui si usa, è semplice e chiara nella sua costituzione fluida, ma può costituire nella sua grande massa un senso di mistero, di penetrabilità di luce solo parziale e di forza incontrollabile. Sono tantissimi i versetti biblici «bagnati» dall’acqua (oltre 1500 riferimenti nel testo sacro) e pertanto la categoria dell’acqua porta in sé una consistente valenza simbolica legata alle origini della creazione, alla vita degli uomini e alla loro esperienza di fede, con un’ampia gamma di significati. Il mare, iam in ebraico, oppure le «grandi acque», in ebraico maiim rabbim, o il «diluvio», in ebraico mabbul, sono infatti simbolo del caos, della morte, del nulla e del male. Anche nella cultura indigena della Terra Santa, quella cananea, il mare era una divinità negativa, Jam, appunto, era in eterno conflitto col dio delle acque benefiche e fecondatrici delle piogge e delle sorgenti, Baal («Signore»).
Secondo la Bibbia, il mare è popolato di mostri dai nomi impressionanti: il Leviatan, «serpente tortuoso, guizzante, drago marino», secondo Isaia (27,1), simile a un enorme coccodrillo, stando a Giobbe (cap. 41); Rahab, altro cetaceo mostruoso; Behemot, simile all’ippopotamo (Giobbe 40,15-24); la Bestia marina dell’Apocalisse (13,1-2) che sale dall’Abisso (17,8). Ebbene, l’Abisso evoca nel suo nome ebraico tehôm (Genesi 1,2) Tiamat, divinità negativa dei racconti cosmologici mesopotamici. Perché il mare facesse così paura agli israeliti e al popolo ebraico, così tanto da riferirsi al mare quasi esclusivamente per evocare il senso di paura dello sconosciuto, di minaccia e di peccato, non è difficile da capire. Infatti Israele fu un popolo di terra, non di marinai; un piccolo popolo di pastori e abitanti di zone desertiche e aride che per la prima volta giungendo nella terra promessa vide le grandi acque, il Giordano, il mare come confine naturale della terra di Canaan e il lago di Galilea. Quando Pietro chiede al Maestro di poterlo raggiungere camminando sull’acqua, fiducioso si getta dalla barca e avanza, ma appena il vento imperversa, perde la fiducia e inizia ad affondare… è un’immagine così vera della nostra fede, entusiasta a volte per l’incontro con Cristo e poi quasi annullata dall’arrivo dello sconforto per le vicende della vita, che non poche volte ci fa affondare nel mare dei nostri dubbi e mormorazioni.
Il mare è sempre con noi, sia che siamo gente di mare, sia che siamo semplici abitanti del mondo; come lo è stato per i nostri padri, come lo è stato per i primi discepoli, pescatori di Galilea, come lo fu per san Paolo, durante i suoi interminabili viaggi missionari; un compagno da conoscere, simbolo del mistero e dell’imprevisto. Il mare rappresenta tutte le sfide che possiamo incontrare nella nostra vita, ma non deve trasformarsi in muro invalicabile, come non lo fu per Israele che lo attraversò all’asciutto perché Dio era con lui. La fede che salva è la risposta, semplice abbandono al Dio Signore dell’Universo al quale anche il vento e il mare obbediscono e fanno tornare la bonaccia, soprattutto nelle nostre vite e nei nostri cuori.