Verrà ordinato vescovo il prossimo primo novembre padre Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia di fresca nomina. Papa Francesco ha scelto lui come successore di monsignor Luigi Padovese, trucidato il 3 giugno 2010 per mano del suo autista. Dopo la decisione papale, resa nota il 14 agosto scorso, lo abbiamo intervistato.
Verrà ordinato vescovo il prossimo primo novembre padre Paolo Bizzeti vicario apostolico dell’Anatolia, di fresca nomina. Papa Francesco ha scelto lui come successore di monsignor Luigi Padovese, trucidato il 3 giugno 2010 per mano del suo autista. La decisione papale è stata resa nota il 14 agosto scorso.
L’Anatolia – territorio dell’attuale Turchia in cui predicarono instancabilmente Paolo e Barnaba – dopo cinque anni di sede vacante torna così ad avere un vescovo.
Padre Paolo, 67 anni, gesuita di origini fiorentine, nel corso del suo ministero ha sempre coltivato un’attenzione speciale per il Medio Oriente. In particolare per la Turchia, che conosce bene e dove ha guidato nel corso degli anni una quarantina di pellegrinaggi. «Per me non si tratta di un gregge sconosciuto – ammette Bizzeti -. Grazie a Dio conosco già diverse persone e con alcune sono anche in amicizia»
Padre Paolo, com’è composta la comunità cristiana che l’attende in Anatolia?
Occorre fare una premessa: cinque anni di assenza del vescovo hanno creato una situazione di grande difficoltà, che si è riflessa nella mancanza di statistiche precise e con una generale diminuzione sia nel numero di presbiteri e suore, sia nella frequenza del popolo cristiano. Detto questo, i sacerdoti presenti sul territorio sono una decina, la popolazione cristiana è di circa 5 mila persone tra cui molti rifugiati, siriani e iracheni, che stanno aumentando e danno un nuovo volto alle comunità parrocchiali. È una Chiesa in evoluzione, un po’ come in Israele, dove l’immissione di cristiani che vengono da altri Paesi sta rinnovando le comunità tradizionali e portando anche nuova linfa vitale.
Qual è la croce più grande che questa comunità deve portare? E qual è, invece, il suo punto di forza?
Il maggiore punto di forza più grande è che sono cristiani veramente coscienti della loro vocazione della loro identità, nonostante affrontino non poche difficoltà per custodirla. Il punto debole è che c’è bisogno di una formazione del laicato più approfondita e organizzata.
La Chiesa d’Anatolia ha una vocazione particolare?
Direi di sì. Questa Chiesa custodisce ininterrottamente, da duemila anni, la presenza cristiana nei luoghi che ci hanno generato alla fede. Antiochia, per certi versi, è la vera Chiesa madre della Chiesa «che viene dai gentili». Più che da Gerusalemme, infatti, è da Antiochia che sono partite le grandi missioni; lì i cristiani sono stati chiamati per la prima volta con questo nome; e lì ci si è posti il problema in modo chiaro, di come la Chiesa che proveniva dal giudaismo e la Chiesa che era composta da «gentili» potevano vivere insieme. È Antiochia la vera culla di tutto questo; e siccome noi siamo in fondo la Chiesa «dei gentili», la nostra Chiesa madre è in un certo senso questa. Non a caso alcuni dicono che l’Anatolia è la Terra Santa della Chiesa.
Qual è il primo messaggio che porterà a questa comunità?
Io mi insedierò all’inizio dell’anno giubilare della Misericordia (che si aprirà il prossimo 8 dicembre – ndr). Quindi il mio primo messaggio sarà quello della riconciliazione, della misericordia, dell’accettazione delle altre Chiese cristiane; e poi sicuramente, un messaggio di attenzione ai cristiani rifugiati, che hanno bisogno di tutto.
Papa Francesco le ha dato qualche consiglio?
Personalmente non ho ancora visto il Papa, ma valgono le direttrici che il Pontefice dà alla Chiesa universale: un rinnovato slancio evangelico, l’attenzione ai poveri e poi la riconciliazione, perché anche lì ci sono tante divisioni.
Pensando alla Siria, qual è il ruolo che può avere la Turchia in questa crisi molto grave?
La Turchia, così come l’Europa, deve fare ogni sforzo perché finisca questo commercio d’armi che è il vero problema: le frange estremiste ricevono le armi da altri Paesi, e quindi se si spezza il commercio delle armi, la situazione cambia. Questo è l’impegno primario.
Che effetto fa essere vescovo nel territorio in cui è nato e ha predicato l’apostolo Paolo?
Credo che la persona e la missione di san Paolo lungo i secoli sia stata parzialmente dimenticata. Mi spiego meglio: è stato studiato di più il Paolo grande teologo che il Paolo grande missionario, l’annunciatore del Vangelo con la capacità di adattare il messaggio evangelico ai diversi tipi di uditorio che incontrava. Paolo aveva una capacità pastorale e teologica unica nel modulare l’annuncio cristiano; capacità che è stata largamente «dimenticata» a favore invece di un patrimonio dottrinale piuttosto statico. Paolo non era un teologo sistematico, era un pastore e un evangelizzatore capace di declinare il patrimonio della fede, tenendo sul serio conto delle persone molto differenti che trovava davanti a sé. Lo si vede sia nelle sue lettere che negli Atti degli Apostoli, come ho mostrato nelle mie meditazioni Fino ai confini estremi. Sono convinto che proprio da qui, dall’esperienza di Paolo e Barnaba, bisogna ripartire per comprendere meglio anche la nuova evangelizzazione.
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L’ordinazione episcopale di mons. Bizzeti, nella solennità di Tutti i Santi, è prevista alle 10.30 nella basilica di Santa Giustina a Padova, in Prato della Valle. Presiederà il rito liturgico il segretario della Congregazione delle Chiese orientali mons. Cyril Vasil’ SJ. Lo affiancheranno il nuovo arcivescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni, e l’abate di Santa Giustina, don Giulio Pagnoni, ed altri concelebranti.