È trascorso ormai un quinqennio dall'Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente (Città del Vaticano, 10-24 ottobre 2010). Fu un evento ecclesiale fecondo.
Dal 10 al 24 ottobre 2010, si teneva a Roma l’assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, dal titolo: Comunione e testimonianza. Per la prima volta nella storia 180 vescovi cattolici del Medio Oriente si sono riuniti intorno al Vescovo di Roma per riflettere insieme sulla situazione e il futuro dei cristiani nella regione. Erano accompagnati da numerosi delegati di altre Chiese, esperti e uditori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Papa Benedetto XVI aveva convocato l’assemblea su richiesta di alcuni vescovi iracheni, preoccupati per il peggioramento della situazione dei cristiani in seguito all’invasione Usa del 2003.
Quella assemblea è stata un vero e proprio «evento ecclesiale». L’incontro in sé si è in seguito rivelato più fecondo degli stessi testi pubblicati. Una migliore conoscenza reciproca e una più grande solidarietà fraterna sarebbero diventate, per la maggior parte dei partecipanti, non solo il ricordo più bello ma anche una forza e un sostegno duraturi di fronte alle nuove difficoltà che non avrebbero tardato a manifestarsi.
Certo, i testi di quel Sinodo conservano tutta la loro ricchezza. Tuttavia bisogna riconoscere che i progetti di allora sono stati presto superati dagli eventi. Tre mesi dopo la chiusura dell’Assemblea, infatti, al Cairo scoppiarono le prime manifestazioni di piazza che portarono a un cambio di regime. Poco dopo sarebbe stata la volta di Libia e Siria. A questo movimento fu dato allora il bel nome di «primavera araba». Purtroppo le speranze di una rinascita furono presto soffocate da forze estremiste, che giunsero spesso a sfruttare la religione per giustificare la violenza e la soppressione della tanto anelata libertà. Le nuove violenze, di cui i cristiani erano sovente le prime vittime, soprattutto in Egitto e in Siria (dopo l’Iraq), crearono situazioni di estrema incertezza in cui era in gioco la stessa sopravvivenza. I sacerdoti non avevano più tempo di studiare i testi o di fare programmi per applicare i risultati del Sinodo. Bisognava occuparsi di cose più urgenti. In quei momenti il ricordo dell’assemblea sinodale li ha ispirati e sostenuti, su questo non c’è dubbio.
Tutti erano decisi a fare il possibile per assicurare la presenza della Chiesa di Cristo nei luoghi che l’hanno vista nascere. Bisognava tuttavia riconoscere che in alcune zone la fuga e l’emigrazione rappresentavano l’unica possibilità di sopravvivenza. Allora, come portare avanti la missione della testimonianza cristiana che stava al centro del Sinodo? D’altro canto se la comunione, l’altro tema centrale, a volte era messa a dura prova, al contempo essa si era rafforzata e intensificata. L’aiuto reciproco tra i fedeli e le comunità è ammirevole. Il confronto e la collaborazione tra i responsabili cristiani all’inizio si sono imposti come una necessità; poi sono diventati la testimonianza per eccellenza, quella che Papa Francesco chiama l’ecumenismo del martirio. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli di Chiese diverse, ancora giuridicamente divise, vivono insieme nei loro corpi il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo con una fede tale da lasciar sperare nella nascita di una nuova comunità cristiana nella regione, proprio in virtù della forza della risurrezione di Cristo e del fuoco dello Spirito.
Il Sinodo per il Medio Oriente non è stato dimenticato. L’esperienza ecclesiale vissuta insieme e le nuove possibilità colte allora dai partecipanti continuano a guidarli in mezzo alle sofferenze e danno loro la forza di proseguire nella speranza che il Signore possa ancora oggi assicurare un futuro nuovo e inaspettato al suo popolo.