(g.s.) – Si intitola «Non dimenticateci» (Ne nous obliez pas) la versione originale di questa lunga intervista – uscita per la prima volta in francese – concessa dal patriarca caldeo Louis Raphael I Sako alla giornalista Laurence Desjoyaux. L’Editrice missionaria italiana (Emi) ora la rilancia in italiano con un diverso titolo, ma l’immediatezza e la franchezza che contraddistinguono l’ecclesiastico iracheno restano intatte.
Il dialogo prende le mosse da Mosul nella primavera/estate 2014 quando le truppe del nero califfo alla testa del sedicente Stato Islamico prendono la città e inducono migliaia e migliaia di cristiani a fuggire abbandonando tutti i loro averi, pur di aver salva la vita e non rinunciare alla propria fede. Stimolato dalla giornalista, il patriarca ripercorre quei giorni da testimone quasi diretto degli eventi o comunque in grado di attingere a resoconti di prima mano. Monsignor Sako spiega che lo Stato Islamico «è in effetti un miscuglio. Ci sono innanzitutto i jihadisti, che in generale vengono dall’estero, in particolare dalla Siria dove hanno contribuito alla guerra contro il regime di Bashar al-Assad. Credo che abbiano ricevuto la formazione militare alla frontiera turco-siriana. Tra l’altro, sono molto ben addestrati. Hanno armi sofisticate, denaro che viene dai siti petroliferi di cui si sono impadroniti. Fra di loro si trovano giovani influenzabili, ma anche, contrariamente a quanto si potrebbe credere, molti intellettuali, ingegneri, dottori ecc. Credo che siano persone che a un certo punto hanno avuto un problema sociale, psicologico, familiare, religioso».
Quando la Desjoyaux gli chiede se, date le condizioni attuali, non sarebbe meglio per i cristiani lasciare l’Iraq ed emigrare in Occidente il patriarca risponde che la voglia di partire è comprensibile, ma che occorre anche restare. Molti cristiani iracheni, osserva, «non hanno idea di cosa sia l’Occidente. Pensano che sia il paradiso. Una volta arrivati, si rendono conto che non ne conoscono la mentalità, la cultura, le tradizioni, la lingua. Sono persi, isolati, stressati, sradicati! Spesso provano amarezza e paura».
Restare perché? Il presule è uno strenuo avvocato del ruolo che spetta ai cristiani nella costruzione della patria comune. Occorre rimanere al proprio posto e assumersi le ineludibili responsabilità, come fecero a loro volta le generazioni precedenti. Oggi rispetto allo Stato c’è una battaglia da vincere, tanto più dura in un contesto culturale come quello musulmano odierno percorso da correnti fondamentaliste molto determinate. «La grande battaglia – dice il patriarca – è quella della cittadinanza comune, che si gioca in particolare intorno a due punti: togliere la religione dalla carta d’identità e permettere le conversioni qualunque sia la religione».
Monsignor Sako guarda avanti e con uno sguardo improntato all’ottimismo cristiano suggella le sue riflessioni: «Il mondo e la storia non si fermano con la tragedia che attualmente stiamo vivendo. I cristiani, nel corso della loro storia, hanno già vissuto questo. Non è la prima volta. Oggi, la prova è forse più dura di prima perché riguarda più che i cristiani, ma bisogna essere forti e, con la grazia di Dio, superarla. Ho questa speranza, che alla fine arriverà la risurrezione. Noi siamo in un tunnel, lungo, stretto e oscuro. Ma alla fine, c’è la luce, c’è il giorno. Il male non ha futuro. Fa molti danni, molto rumore, uccide, ma non ha futuro. Mentre il bene è lento, laborioso, ma dura. È stabile. È vincente».
Louis R. Sako
Più forti del terrore
I cristiani del Medio Oriente
e la violenza dell’Isis
Emi, Bologna 2015
pp. 144 – 13,00 euro