Per lo più trascurato dai grandi media, continua il conflitto in Yemen. Ad oggi, secondo le recentissime stime dell’Onu, si contano 1.950 morti civili, 4.271 feriti e 20 mila rifugiati solo a Gibuti (un milione e 300 mila cittadini hanno abbandonato le loro case). E a tutto ciò si aggiunge il triste fenomeno dei bambini soldato.
Appoggiato al tipico camion yemenita che traballa quando si mette in moto per le strade della capitale yemenita, Rashad Hussein Naser porta in spalla il suo fucile d’assalto e sorride come il bambino che è. Dice: «È un dovere per ognuno di noi, ora, portare un fucile e difendere il Paese».
Rashad, 15 anni, descritto in questa breve testimonianza di Almigdad Mojalli per il quotidiano britannico The Teleghaph, è uguale a centinaia di altri bambini e adolescenti yemeniti che si incontrano dappertutto per le strade di Sana’a, Hodeida, Taiz, Aden. O almeno, per quelle che rimangono dopo i primi sei mesi di questo terribile conflitto che attanaglia con bombardamenti e scontri di terra lo Stato più povero di tutto il mondo arabo (la vita degli yemeniti dipende per il 90 per cento da cibo e beni di importazione) e che, ad oggi, secondo le recentissime stime dell’Onu, ha fatto 1.950 morti civili, 4.271 feriti e 20 mila rifugiati solo a Gibuti (un milione e 300 mila cittadini hanno abbandonato le loro case).
Rashad ha aderito alla resistenza armata delle milizie Houthi, in questo momento ancora in forze nel Nord dello Yemen, dalla loro città-roccaforte, Sada, alla capitale Sana’a; mentre l’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, loro sostenitore e alleato fin dall’inizio della guerra contro la Coalizione del Golfo, capeggiata dall’Arabia Saudita, si è defilato ed è riparato in Oman, abbandonandoli al loro destino.
I bambini soldato costituiscono un terzo dei combattenti della guerra in Yemen, secondo i nuovi dati da Unicef. Non sono nemmeno così inconsapevoli. Nei posti di blocco Houthi a 12 miglia da Sana’a, i combattenti adolescenti dichiarano di essere volontari entusiasti, di lavorare gratis. Il meccanismo è chiaro: le famiglie degli adolescenti donano denaro per la causa Houthi in modo che, oltre al loro figliolo, altri ragazzi possano unirsi alla lotta «per difendere il Paese dagli invasori sauditi».
Del resto, lo Yemen, in quanto Paese a forte componente tribale, ha una lunga storia di reclutamento degli adolescenti nei conflitti armati ed è comune per i ragazzi imparare a usare il kalashnikov in tenera età. Al punto che, secondo l’Onu, è uno dei soli otto Paesi al mondo i cui eserciti di Stato possono includere adolescenti nelle loro fila.
Nell’ultimo conflitto, secondo la ong internazionale Save the Children, tutti i ragazzi maggiori di 12 anni sono stati «risucchiati nella lotta armata» anche al Sud. Ad Aden, ex colonia britannica, i medici dell’ospedale al Jomhoria hanno confermato che le strade, dopo la battaglia, erano piene di cadaveri di giovanissimi, spesso attratti con la promessa del «paradiso» dopo la morte, senza contare gli innumerevoli casi di ragazzini, combattenti o meno, ridotti a prigionieri di guerra e/o rapiti per vendetta nei confronti delle famiglie, oppositrici di una delle parti in lotta.
E per milioni di bambini coinvolti nel caos della battaglia, innumerevoli altri trascorrono notti insonni rannicchiati sotto il letto a causa dei bombardamenti della coalizione (dopo la guerra, parecchi saranno i casi di trauma acuto da stress psicologico) e dei gravissimi scontri di terra, soprattutto al Sud, che è stato appena «liberato» dalle forze lealiste, fedeli al presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, in esilio a Riyadh.
Secondo l’Unicef, che ha appena rilasciato un rapporto molto dettagliato, almeno 398 sono i bambini uccisi e 605 quelli feriti in seguito all’inasprimento del conflitto dall’inizio del marzo scorso. Più di un milione sono i bambini che rischiano di patire qualche forma di malnutrizione entro la fine dell’anno, mentre sono quasi 3.600 le scuole che hanno chiuso i battenti, a discapito di una popolazione scolastica di un milione e 800 mila giovanissimi studenti.
Tutto ciò in un quadro generale nel quale 15,2 milioni di persone non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base, 900 strutture sanitarie sono state chiuse dal 26 marzo 2015 e 20,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza per stabilire o mantenere l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici o per via della carenza di carburante, dei danni alle infrastrutture e della mancanza di sicurezza. Non basta: oltre mezzo milione di donne incinte nelle zone dello Yemen più colpite dal conflitto sono ad alto rischio di complicazioni in gravidanza o al momento del parto perché non possono raggiungere le strutture mediche.
Secondo Julien Harneis, rappresentante Unicef per lo Yemen, «questo conflitto è una tragedia di particolare gravità per i bambini yemeniti». Infatti, «i bambini sono stati uccisi dalle bombe o dai proiettili mentre i sopravvissuti devono affrontare la crescente minaccia di malattie e malnutrizione».
Harneis ribadisce l’appello di Unicef a tutte le parti in causa perché pongano fine al conflitto e rispettino gli obblighi loro imposti dal diritto internazionale umanitario e la smettano di colpire i civili e infrastrutture cruciali come scuole, acquedotti e strutture sanitarie. «Abbiamo urgente bisogno di fondi – soggiunge Harneis – così da poter raggiungere i minori che sono in un bisogno disperato. Non possiamo stare a guardare e lasciare che i bambini subiscano le conseguenze di una catastrofe umanitaria senza precedenti».
Negli ultimi sei mesi, Unicef, oltre alle normali attività (servizi di salvataggio, tra cui la distribuzione di acqua potabile e il trattamento dei bambini affetti da malnutrizione, così come da diarrea, morbillo e polmonite) ha fornito sostegno psicologico per aiutare più di 150 mila bambini ad affrontare gli orrori del conflitto, mentre 280 mila persone hanno imparato ad evitare lesioni causate da ordigni inesplosi e mine. Nonostante le enormi esigenze, l’ufficio locale ha ottenuto finanziamenti pari solo al 16 per cento dei 182.600.000 dollari ritenuti necessari per far fronte all’emergenza. Una carenza che rispecchia l’assoluta indifferenza dei media internazionali per questo terribile conflitto armato.