Questo nuovo viaggio di Franco Cardini conduce i lettori alla scoperta di un dialogo fra il nostro Paese e la città radice del monoteismo abramitico scritto in ogni rigo della storia e in ogni pietra delle nostre città. Tra i massimi storici medievisti italiani, Cardini mostra in questo saggio documentatissimo e magnificamente scritto come Andare per le Gerusalemme d’Italia significhi tornare alla nascita del cristianesimo e dei codici che la Chiesa si è data nel corso dei secoli.
La premessa è che «l’Italia, provincia primogenita di Roma, è investita, inondata e percorsa per intero dalle memorie di Gerusalemme e della sua presenza»: il nuovo viaggio di Franco Cardini conduce i lettori alla scoperta di un dialogo fra il nostro Paese e la città radice del monoteismo abramitico scritto in ogni rigo della storia e in ogni pietra delle nostre città.
Tra i massimi storici medievisti italiani, Cardini mostra in questo saggio documentatissimo e magnificamente scritto come Andare per le Gerusalemme d’Italia significhi tornare alla nascita del cristianesimo e dei codici che la Chiesa si è data nel corso dei secoli. Vuol dire ricostruire come le prime comunità cristiane abbiano affermato un legame indissolubile con Gerusalemme nella liturgia, nelle forme della devozione popolare, nell’architettura, nell’arte, nella ricerca e commercio delle reliquie. Vuol dire esplorare quali suggestioni portarono alcuni frati della Custodia rientrati in Italia agli albori del Rinascimento, quando il viaggio in Palestina era divenuto troppo costoso e pericoloso, ad ispirare la conversione dei fedeli riproducendo i santuari gerosolimitani in uno scenario topograficamente ispirato alla forma urbis della Città santa, come si vede ancora oggi nei complessi del Sacro Monte di Varallo Sesia in Piemonte, a San Vivaldo in Toscana o tra le cappelle di Kalwaria, non distante da Cracovia, luogo assai caro a san Giovanni Paolo II.
Lo storico fiorentino prende le mosse dai decenni immediatamente precedenti alla nascita di Cristo. Perché è dalle origini della presenza delle comunità ebraiche in Occidente che bisogna partire per andare alle radici della nostalgia per Gerusalemme, come raccontato in un altro volume della stessa collana del Mulino. Cardini ricostruisce quali implicazioni ebbero nella successiva nascita del Cristianesimo le rivolte ebraiche, e la durezza con cui i romani repressero quel popolo ribelle e ostinato fino a decretarne l’espulsione dalla Palestina: prima nel 70 d.C. con la demolizione del Tempio ed il furto della Menorah, il candelabro recato in trionfo a Roma e ostentato nel famoso altorilievo dell’Arco di Tito; poi con la distruzione della città voluta nel 135 d.C. dall’imperatore Adriano, che dopo aver estromesso gli ebrei privò anche la nuova comunità religiosa di un centro sacrale che i membri avevano già cominciato a visitare, sostituendo l’aliyah, l’ascesa al Tempio, con un nuovo segreto pellegrinaggio a una collina e a una Tomba vuota.
Fu necessario attendere quasi due secoli e l’affermazione del cristianesimo come culto ormai egemonico nell’Impero sancito dall’Editto di Costantino-Licinio nel 313 perché iniziasse lo spostamento dell’asse geo-religioso da Gerusalemme a Roma. Così maturarono le condizioni per il viaggio in Terra Santa dell’anziana imperatrice Elena nel 327-8, che con il ritrovamento e il trasferimento a Roma della «Vera Croce» impose l’adorazione per «un oggetto macabro, strumento di tortura e di morte infamante», ma che era la prima e più sacra memoria della Gerusalemme cristiana, insieme a fornire indizi su come si formò il principio e la liceità della frantumazione delle reliquie e del loro culto nel mondo cristiano.
Da allora in avanti, racconta Cardini, non ci fu praticamente città nella penisola, come d’altronde nel resto dell’Europa medioevale, da Bologna a Verona o a Brindisi, che non aspirasse a divenire una nova Jerusalem o almeno una Jerusalem translata. La tendenza ad operare una translatio simbolica della sacralità gerosolimitana in Occidente, spiega Cardini, determinò tutto un fiorire di edifici costruiti ad instar Sancti Sepulchri, a somiglianza del Santo Sepolcro, da Venezia a Firenze passando naturalmente per Bologna: ma, sorprendentemente, nella città del vescovo Petronio la rotonda del Santo Sepolcro nella basilica di Santo Stefano, ideata nel Quinto secolo come simulacro dell’Anastasis di Gerusalemme di era costantiniana, nella base ottagonale costruita successivamente appare ispirata da un altro luogo di culto gerosolimitano che i cristiani chiamavano Templum Domini, ovvero la Cupola della Roccia, la moschea di Omar.
Al di là della fortuna del Santo Sepolcro nel Medioevo, fu la nascita di un’arteria stradale dove scorrevano uomini, idee e notizie, la via Francigena, a dare impulso al successo dei pellegrinaggi fra l’Ottavo e il Dodicesimo secolo mentre le Crociate e il loro fallimento, insieme all’ammirazione per il francescanesimo e al ruolo della Custodia a partire dal Quattordicesimo secolo, ispiravano nuove forme devozionali e riproduzioni dei Luoghi Santi.
In questo saggio ricco di riflessioni su come è cambiato il senso del viaggio e del pellegrinaggio, Cardini spiega con maestria come l’Europa medievale sia nata anche lungo l’asse che per secoli ha legato Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela. E come l’Europa moderna sia nata proprio con il ridimensionamento dell’importanza di quei tre santuari e la ridefinizione della religiosità cristiana, provocata contestualmente dalla Riforma protestante, meno legata alla Gerusalemme terrena e rivolta piuttosto alla silenziosa e intima ricerca di quella Gerusalemme spirituale che ciascun fedele porta nel cuore.
Franco Cardini
Andare per le Gerusalemme d’Italia
il Mulino, Bologna 2015
pp. 163 – 12,00 euro