Negli ultimi vent’anni, la collaborazione tra i capi delle Chiese a Gerusalemme ha conosciuto un notevole sviluppo. L’incontro tra Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo costituisce la tappa più recente di questo riavvicinamento.
Quando sentiamo parlare di ecumenismo, pensiamo subito ai colloqui ufficiali tra le Chiese condotti da esperti nominati dall’autorità. In effetti, questi dialoghi giocano un ruolo importante nello sviluppo delle relazioni ecumeniche tra le Chiese a partire dal concilio Vaticano II. Specialmente nel riavvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, il dialogo teologico riveste un’importanza particolare: investito di grandi speranze ai suoi inizi nel 1980, oggi deve fronteggiare nuove difficoltà. Ma solo il dialogo teologico è importante? E cosa intendiamo?
Facciamo un esempio. In occasione della presentazione degli auguri natalizi da parte dei capi delle Chiese di Gerusalemme al patriarca greco-ortodosso Teofilo III, il 9 gennaio 2015, questi ha sottolineato la fecondità e l’importanza del dialogo: «Con il tempo, abbiamo capito che il dialogo vero porta frutti di compassione, di più profonda comprensione reciproca e di fattiva collaborazione. Il frutto più evidente del nostro comune dialogo come Chiese è stato l’incontro, qui, nella basilica del Santo Sepolcro, di Sua Santità il patriarca Bartolomeo con papa Francesco, nel maggio scorso. Non possiamo, non dobbiamo sottovalutare la forza di questi frutti del dialogo in un mondo lacerato dalle divisioni e dalla disperazione. La nostra prima responsabilità in qualità di guide spirituali delle Chiese di Terra Santa è preservare il carattere cristiano della Terra Santa e delle città sante di Gerusalemme e Betlemme, e consolidare la vitalità della presenza cristiana. In questa missione fondamentale, il dialogo deve giocare un ruolo preponderante».
Di quale dialogo intende parlare il patriarca? Negli ultimi vent’anni, i rapporti e la collaborazione tra i capi delle Chiese hanno conosciuto a Gerusalemme un notevole sviluppo. L’incontro tra Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo costituisce la tappa più recente di questo riavvicinamento. Non si tratta di un vero e proprio dialogo teologico ma, secondo il patriarca, di un dialogo per «consolidare la vitalità della presenza cristiana», e i frutti di tale dialogo sono importanti «in un mondo lacerato dalle divisioni e dalla disperazione». È di questo dialogo che Gerusalemme ha bisogno.
Si potrebbe parlare di un «dialogo della vita», o meglio di una «vita nel dialogo». Un dialogo simile è un complemento indispensabile al dialogo teologico. Nei rapporti tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse è stata spesso utilizzata l’espressione «dialogo della carità», come preparazione e fondamento del «dialogo della verità» o dialogo teologico. Sono entrambi necessari e interdipendenti. Se manca un clima di fiducia fraterna, il dialogo rischia di diventare un mero esercizio speculativo o di scadere nella polemica. D’altra parte, anche se i teologi trovassero una risposta ai problemi teologici, questi accordi non porterebbero a risultati positivi finche le comunità vive, cattoliche e ortodosse, non si conosceranno e si accoglieranno in uno spirito di fiducia in grado di superare i sentimenti di diffidenza o di superiorità del passato. Le recenti difficoltà che ha conosciuto il dialogo con gli ortodossi derivano forse proprio dal fatto che alcuni vogliono saltare la tappa dell’amore reciproco, isolandosi in un esercizio accademico.
Il futuro dell’unità dei cristiani dipende in gran parte dalla convinzione che, al di là dei confini istituzionali tra le Chiese, una comunione sta crescendo, come una messa in pratica del sensus fidei o «istinto della fede» dei fedeli su cui Papa Francesco torna spesso (insieme all’ecumenismo del martirio, che gli sta particolarmente a cuore).