Ad un primo sguardo, Omonia sembra una delle tante piazze del centro di Atene, pullulante di alberghi, di negozi e di ristoranti. Ma basta fermarsi un attimo più a lungo per rendersi conto che la realtà è ben diversa dall’apparenza. In un angolo della piazza, sotto alcuni sparuti alberelli, si intravedono dei vecchi materassi sistemati uno vicino all’altro, delle coperte polverose e macchiate e alcuni sacchetti di plastica pieni di cibo. Poco più in là, su una piccola area erbosa, fanno capolino alcune persone che siedono silenziose su una panchina come se fossero in attesa di qualcosa.
«Siamo tutti profughi siriani fuggiti da una sanguinosa guerra che ha devastato il nostro Paese e ucciso il nostro popolo. Siamo tutti in attesa di andarcene da un Paese che non ci vuole ma che non ci lascia uscire. Per il governo greco siamo invisibili, per l’Unione Europea siamo un problema da risolvere, per il mondo intero siamo fantasmi senza alcun diritto». Khalil fuma nervosamente una sigaretta mentre ci racconta la storia del suo drammatico viaggio che dalla città di Raqqa lo ha condotto fino ad Atene. Non ha ancora compiuto 24 anni, ma per la sua voce roca e il suo aspetto stanco e sciupato ne dimostra molti di più. Ha lasciato la Siria nel 2013 dopo che la sua città è stata conquistata dal sedicente Stato Islamico. È scappato verso nord, è riuscito a raggiungere la Turchia e da lì ha deciso di proseguire verso la Grecia.
Siria – Turchia – Grecia: è questa una delle rotte più battute dai profughi siriani che vogliono raggiungere l’Europa. Da quando nel 2011 la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) ha stabilito che la Grecia non è più in grado di salvaguardare i diritti dei richiedenti asilo e ha reso evidenti i limiti e l’assurdità di quel Sistema Dublino che obbliga i migranti a chiedere asilo nel primo Paese d’ingresso nell’Unione Europea, molti profughi siriani hanno potuto attraversare la Grecia e continuare il loro viaggio verso il nord Europa senza il timore di essere rispediti indietro (anche se dai porti italiani sul Mare Adriatico continuano ad esserci respingimenti verso le città greche di Patrasso e Igoumenitsa).
Tuttavia, se fino al 2012 la principale porta d’ingresso per entrare in Grecia era il confine terrestre (si calcola che nel 2010 gli arrivi via terra siano stati 47 mila a fronte dei 6 mila via mare), dal 2012 la Grecia, con i cospicui finanziamenti di Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea), ha dato inizio alla costruzione di una barriera elettronica di 12 chilometri lungo il fiume Evros, che ha ridotto significativamente il numero di arrivi: nel 2013 gli arrivi via terra sono stati poco più di mille contro gli oltre 11 mila via mare.
«Ho provato quattro volte ad entrare in Grecia dal confine turco. Per due volte le telecamere che rilevano il calore umano mi hanno individuato e sono stato respinto. Una volta sono stato preso dalle guardie turche ancora prima di raggiungere il confine. L’ultima volta sono riuscito ad attraversare il fiume e sono entrato in Grecia. Ma a 300 metri dal confine mi hanno preso e rispedito in Turchia. È una cosa che sanno tutti: per poter rimanere in Grecia è necessario arrivare fino alla città di Salonicco che dista 480 chilometri dal confine greco-turco. Se ti prendono prima, ti rispediscono in Turchia e spesso lo fanno dopo averti arrestato e picchiato violentemente», ci racconta Ahmed, un siriano di Aleppo che ora vive in una vecchia fabbrica abbandonata a pochi metri dal porto di Patrasso.
Il potenziamento dei controlli ha così modificato le rotte migratorie. Chi non sceglie la pattugliata via bulgara, si imbarca dalle città turche della costa (Cesme, Bodrum, Smirne) verso le isole greche di Kos, Chios, Lesbo e Rodi. Secondo i dati della guardia costiera greca, nei primi tre mesi del 2015 sono sbarcati in Grecia 10.455 migranti, con una media di oltre 100 persone al giorno.
«Si tratta di una traversata breve ma estremamente pericolosa in barconi sovraffollati o in piccoli gommoni da 30-35 persone che spesso si rovesciano o si sgonfiano durante il viaggio», ci racconta Moavia Ahmed, un attivista del Forum greco per i migranti. «La novità di questi ultimi mesi è che i trafficanti non salgono più sui barconi ma vendono l’imbarcazione ai profughi dando loro indicazioni su come condurla. Il risultato è che spesso queste barche sbattono contro gli scogli e si rovesciano… Con conseguenze mortali».
«Quando sono sbarcato nell’isola di Kos, finalmente in Europa, pensavo di aver raggiunto la salvezza. E invece è proprio qui che sono cominciati i miei problemi», racconta Khalil. Il giovane, accusato di essere entrato nel Paese senza documenti, è stato detenuto per una settimana in un centro di identificazione – che Khalil descrive come una vera e propria prigione sporca e sovraffollata – e poi rilasciato con un «foglio di via» della durata di sei mesi. Da Kos ha preso un nave fino ad Atene con l’intenzione di proseguire verso il nord Europa.
«Invece dopo due mesi sono ancora qui, a dormire per le strade e a elemosinare cibo e dignità in una piazza di Atene. Non mi riconosco più, questa vita mi ha trasformato in un animale».
Per Khalil, come per le migliaia di siriani bloccati in Grecia, questo Paese è diventato una trappola senza uscita, un girone infernale da dove è impossibile andarsene. Molti migranti, tra cui diversi siriani, si dirigono verso le città di Patrasso e Igoumenitsa, entrano di nascosto nell’area portuale e tentano di nascondersi sotto i tir che si imbarcano sulle navi dirette in Italia. Ma molto spesso vengono trovati, bloccati e picchiati dalla polizia greca. Sono in pochi a farcela. E una volta arrivati in Italia, se non vengono respinti illegalmente dalla polizia di frontiera e riescono a non farsi prendere le impronte digitali, sanno che li attende un viaggio ancora lungo.
Molti altri invece tentano di raggiungere il nord Europa passando attraverso la Macedonia e la Serbia. È questa la nuova rotta migratoria. Ma il confine greco-macedone è fortemente controllato e pattugliato; e l’attraversamento via terra è lungo e costoso, sia in termini fisici che economici. Un viaggio dalla Grecia alla Serbia costa 3 mila euro, se invece si vuole arrivare fino in Austria ne servono 5.500. Molto spesso i migranti camminano per giorni interi tra i boschi oppure, per non perdersi, seguono la linea ferroviaria che collega la Grecia alla Macedonia. Proprio quella linea ferroviaria che a fine aprile stavano seguendo 14 profughi che sono stati investiti in una galleria da un treno che è passato a tutta velocità. Travolti e uccisi, mentre cercavano di andarsene da un paese che non li voleva ma che non li lasciava uscire.
Khalil a Patrasso non ci vuole più tornare. Non pensa nemmeno di sfidare nuovamente il confine con la Macedonia. Per troppe volte è stato picchiato e umiliato. E sa che in Grecia quello che lo attende è una vita di strada.
«Sono scappato dalla Siria per cercare di costruirmi un futuro lontano dalle bombe. Invece l’Europa mi sta togliendo la dignità, la speranza, la mia stessa umanità. Voglio solo andarmene, tornare da dove sono venuto. L’Europa mi vuole solo uccidere per strada. Ma io questo non lo accetto. Che mi lasci almeno morire dove voglio io».