Inutile nasconderlo. Le notizie che giungono dal Medio Oriente (con la presenza arrembante dell’Isis, la guerra in Siria, i raid nella Striscia di Gaza e via dicendo) stanno avendo un impatto non certo marginale nel calo dei pellegrinaggi nei Luoghi Santi. Come spieghiamo a p. 5, i dati del primo trimestre 2015 dicono di una flessione del 28 per cento dei pernottamenti a fini turistici. Ne risentono tutte le principali destinazioni: a Nazaret siamo a -32 punti percentuali e a Tiberiade a -31. Non va meglio a Gerusalemme.
Il tema della sicurezza la fa da padrone nell’indurre viaggiatori e pellegrini a disertare tutta la regione mediorientale: benché Israele, così come la vicina Giordania, sia un’area tutto sommato non toccata dalle turbolenze che caratterizzano i Paesi arabi confinanti. In testa al calo di presenze gli europei e i nordamericani; in misura minore asiatici e sudamericani.
Come già capitato, la crisi dei pellegrinaggi si avverte in maniera traumatica in città come Betlemme, dove il settore è di fatto quello trainante per l’economia locale. E dove a pagarne le conseguenze sono soprattutto le famiglie cristiane.
Ecco perché, in un momento come questo, nel quale si fa un gran parlare delle difficoltà (e della persecuzione) dei cristiani in Medio Oriente, un segno tangibile di sostegno alla loro presenza continua ad essere il pellegrinaggio. Nei santuari e nei Luoghi Santi di Israele, Palestina e Giordania, in questo frangente, non ci sono problemi ed è garantita la sicurezza. Riprendere i pellegrinaggi è allora un’opera di vicinanza e di condivisione con i cristiani di quelle terre che non va tralasciata.