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Konya, come un piccolo seme

Giuseppe Caffulli
17 giugno 2015
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Konya, come un piccolo seme
Suor Isabella e suor Serena a Konya (l'antica Iconio), in Turchia.

Nella città (l'antica Iconio) che ha visto la predicazione di san Paolo, le suore della Fraternità di Gesù Risorto testimoniano il Vangelo in silenzio.


In una via defilata, la facciata grigia di una cappella stretta tra le case. Una targa d’ottone, una data (1910) e la dicitura: Chiesa cattolica di San Paolo. Siamo a Konya, l’antica Iconio, a due passi dal centro del sufismo fondato da Rumi, il «maestro» (Mevlana). La moschea che accoglie anche la tomba del mistico islamico, contemporaneo di san Francesco d’Assisi, domina con il suo minareto e la sua cupola verde smeraldo questa città di oltre un milione d’abitanti che sorge nell’altipiano centrale dell’Anatolia.Curano questa piccola chiesa due religiose trentine della Fraternità di Gesù Risorto, Isabella e Serena. I cristiani locali sono pochissimi, qualche decina, molti dei quali stranieri. Ma il servizio di queste due religiose è prezioso per i pellegrini cristiani che ogni anno ripercorrono gli itinerari paolini. E che qui trovano un luogo dove poter essere accolti per celebrare l’eucaristia.

«I cristiani di Konya sono mosche bianche – spiega suor Isabella –. Non ci sono neanche ortodossi. La chiesa fu costruita all’inizio del Novecento per una comunità di lavoratori francesi. Ora la nostra è una presenza discreta, in una città che ha visto la nascita del cristianesimo al tempo di san Paolo e che ora invece è completamente musulmana».

«Non facciamo rumore – chiarisce suor Serena – e dopo molti anni anni con i vicini è nato un rapporto amichevole. Cerchiamo di testimoniare il nostro essere cristiane con la vita, nelle relazioni di tutti i giorni».

«A noi – prosegue – è severamente vietata non solo ogni forma di proselitismo, ma anche qualsiasi attività fuori dal cortile della chiesa. Noi qui non siamo nulla, non possiamo fare nulla, ma viviamo con grande gioia la verità proclamata da san Paolo, che di fronte alla grandezza di Dio reputava inutile tutto il resto».

«Siamo anche qui per ringraziare – incalza suor Isabella – perché le nostre valli trentine sono state evangelizzate alla fine del quarto secolo da tre monaci della Cappadocia, i santi Sisinio, Martirio e Alessandro, che hanno trovato il martirio annunciando il Vangelo in Val di Non. Dobbiamo insomma ringraziare la Turchia per la nostra fede».

San Paolo e san Barnaba si recarono a Iconio per uno dei loro viaggi apostolici in Asia minore intorno al 50 d.C. Oggi Konya è invece una città santa per l’Islam, all’origine del misticismo dei «dervisci rotanti».

Città caotica e centro universitario frequentato da studenti provenienti da tutta l’Anatolia centrale, ha visto l’arrivo, a causa delle guerre del Medio Oriente, anche di profughi dall’Iraq e dalla Siria, alcuni dei quali cristiani.

Suor Isabella e suor Serena, con semplicità e discrezione, cercano di aiutare tutti. Gli abitanti del quartiere lo sanno e vedono di buon grado la presenza delle sorelle… «Forse perché non facciamo paura a nessuno», dicono con un sorriso.

Tra le relazioni strette in città, anche quelle con personaggi importanti del mondo culturale e religioso locale. «Sono interessati a conoscerci, anche se preferiscono restare nell’anonimato». Per favorire l’incontro con tutti coloro che, per curiosità, si avvicinano alla chiesa di San Paolo, le suore la tengono aperta due pomeriggi a settimana. Entrano studenti, semplici passanti, attratti da quella architettura tanto diversa dagli altri edifici di culto in Turchia.

Per facilitare i visitatori turchi, hanno preparato targhette con semplici didascalie vicino agli oggetti sacri, alla Bibbia, al cero pasquale, al crocifisso, all’icona che raffigura san Paolo. Pur nella situazione attuale, a Konya si prosegue nell’opera dell’«apostolo delle genti», che ha insegnato ai fedeli in Cristo ad aprirsi al mondo. E a non stancarsi di seminare il seme della Parola e dell’incontro con l’altro.

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