Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Palmira, la «sposa del deserto» violata

Giuseppe Caffulli
22 maggio 2015
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Il primo sguardo su Palmira, solitamente, lo si ha dal castello arabo del XII secolo che si staglia sulla collina che domina l'antica città. Da qui, al tramonto, le rovine dell’immensa Zenobia emergono dalle sabbie come in una fiaba. Ora però, quello sguardo, è oscurato dalla guerra e forse per sempre negato dalla conquista recentissima del sedicente Stato Islamico.


Il primo sguardo su Palmira, solitamente, lo si ha dal castello arabo del XII secolo che si staglia sulla collina che domina l’antica città. Da qui, al tramonto, le rovine dell’immensa città di Zenobia emergono dalle sabbie come in una fiaba.

Ora però, quello sguardo, è oscurato dalla guerra (in atto dal 2011) e forse per sempre negato dalla conquista recentissima del sedicente Stato Islamico, che ha occupato la città moderna (a ridosso dell’area archeologica) e messo in fuga le truppe di Assad (si parla anche di decapitazioni a danno dei soldati fatti prigionieri).

Ma che interesse ha lo Stato Islamico (Isis) nell’occupare Palmira?

Una prima ragione è mediatica. I tagliagole dell’Isis sono molto attenti alla comunicazione e sanno bene che, purtroppo, in Occidente a volte destano più scalpore le distruzioni delle antichità che la morte di ormai 200 mila siriani. L’episodio dello scempio delle statue ittite a Mosul, in Iraq, con relativo filmato che ha fatto il giro del globo, è un caso di scuola. Stiamo certi che delle eventuali distruzioni a Palmira non mancheremo di esserne informati in audio e video.

C’è poi una ragione strategica. Controllare Palmira significa controllare tutta la parte nord-est della Siria e le strade d’accesso all’Iraq. Palmira, che già anticamente era uno snodo carovaniero importantissimo, anche oggi è al centro delle principali strade che collegano con Homs, Hama e Aleppo. O almeno con quel che ne resta.

C’è poi un motivo di carattere economico: l’area desertica attorno alla città è ricca di petrolio, gas naturale e fosfato. Come già accaduto nell’area di Raqqa e in Iraq, l’Isis è molto attento a mettere a reddito queste risorse, gestendo un vero e proprio mercato illegale parallelo, al quale non disdegnano di ricorrere (visti i prezzi bassi) anche coloro che ufficialmente sono contro il Califfo nero.

Ultima ragione è legata al mercato fiorente dei ricettatori d’opere d’arte: ovunque, sotto le sabbie di Palmira, sono disseminati reperti archeologici. La città è ora sotto coprifuoco e la popolazione è fuggita in massa. Non si sa quale potrà essere il futuro di questa centro urbano e men che meno di uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente. Quel che è certo è che le ricchezze di Palmira verranno trafugate in tutto il mondo. E il suo splendore di sposa del deserto rischia di essere cancellato per sempre.

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