Questo lavoro di Giovanni Verga è un lungo reportage, fatto di incontri e suggestioni, raccolte sul campo nell’intento di comprendere una realtà impastata di ragioni e torti. Il punto di partenza è un’indagine sul Muro di separazione israeliano e sulle sue innegabili ripercussioni negative nelle vite di tanti individui e aziende.
(g.s.) – Ci sono luoghi, ma soprattutto nomi e voci in questo libro. C’è Ariel, il colono ebreo di origini italiane, e Fulvio, il consulente della Cooperazione italiana, il Custode di Terra Santa e padre Firas, parroco ad Aboud, il salesiano padre Piergiorgio, i palestinesi Meera, Rida e parecchi altri… Ognuno racconta la realtà della Palestina dal suo angolo prospettico, che guarda al passato e al presente più che a un futuro che tutt’al più sembra un perpetuarsi senza sbocchi di un oggi che non soddisfa. Questo lavoro di Giovanni Verga più che un saggio ben compaginato e frutto di ponderose ricerche e riflessioni è un lungo reportage, fatto di incontri e suggestioni, raccolte sul campo nell’intento di comprendere una realtà impastata di ragioni e torti. Il punto di partenza è un’indagine sul Muro di separazione israeliano e sulle sue innegabili ripercussioni negative nelle vite di tanti individui e aziende. Dieci anni di Muro, spiega l’autore a commento dei dati raccolti, hanno avuto per l’economia palestinese conseguenze forse peggiori di qualsiasi bombardamento.
Esistono altre ragioni, però, più strutturali, che obiettivamente inducono a un certo pessimismo per quanto riguarda il versante economico. «Attualmente – leggiamo nel libro – in Palestina c’è parecchia liquidità a disposizione delle banche, che preferiscono usare fondi propri e non d’altra provenienza. Le banche investono principalmente in prestiti all’Autorità nazionale palestinese (Anp), dati i tassi alti che riescono a imporre, e in credito al consumo soprattutto per soggetti impiegati direttamente o indirettamente dalla stessa Anp» (p. 35). Scelte di politica creditizia che vanno a discapito del sistema produttivo e dell’imprenditoria, la quale fatica a finanziarsi.
Il discorso però si allarga e racconta ferite recenti e ancora aperte, come i massacri e gli esodi forzati della guerra del 1948 o la confisca, da parte degli israeliani, di terre e case arabe. Difficoltà che negli anni hanno indotto molti palestinesi allo scoramento e all’emigrazione, il che ha contribuito all’affievolirsi numerico della componente arabo-cristiana, sovente ben istruita e mediamente abbiente, e dunque più incline, in termini psicologici ed economici, a ricostruirsi una vita altrove.
C’è spazio tuttavia anche per le novità rappresentate, ad esempio, dalle nuove generazioni palestinesi sempre più consapevoli e istruite, soprattutto nella loro componente femminile. «In Cisgiordania – scrive Verga – nelle città più grandi, si nota il dinamismo e la voglia dei giovani di non arrendersi. Soprattutto studiando. Le ultime generazioni palestinesi, in un Paese giovane come lo sono tutti quelli arabi, a detta di molti esperti sono preparate, conoscono molto bene le lingue, hanno viaggiato e cercano di utilizzare nella loro terra le conoscenze acquisite impiantando lì le loro attività, tra difficoltà per noi non immaginabili».
Giovanni Verga
Vivere in Palestina tra tablet,
muri, Bibbia e Corano
Infinito ed., Formigine (MO) 2014
pp. 160 – 12,00 euro