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Fra Ibrahim: «Ad Aleppo noi cristiani siamo sempre meno, ma decisi a resistere»

Carlo Giorgi
29 aprile 2015
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«Ad Aleppo la gente diventa ogni giorno più povera e siamo certi che le cose peggioreranno. Ma quello che mi dà speranza è che molti cristiani non vogliono andarsene. L’esercito ha aumentato le difese. Ho la sensazione che la città possa resistere e non cadere nelle mani dei fondamentalisti…». Gli ultimi aggiornamenti da fra Ibrahim Sabbagh, il parroco di rito latino.


«Ad Aleppo si muore, la gente diventa ogni giorno più povera e siamo certi che le cose peggioreranno. Ma quello che mi dà speranza è che molti cristiani non vogliono andarsene. L’esercito ha aumentato le difese. Ho la sensazione che la città possa resistere e non cadere nelle mani dei fondamentalisti…».

Stavolta incontriamo fra Ibrahim Sabbagh, parroco latino nella seconda città della Siria, a Milano. È da pochi giorni in Italia per una breve pausa e per raccogliere aiuti per la sua parrocchia, dopo un viaggio avventuroso che lo ha portato prima a Damasco (dieci ore per fare 360 chilometri e lungo il percorso molti posti di blocco, un blindato dell’esercito esploso su una mina e tre soldati uccisi), poi a Beirut e infine nel nostro Paese.

Il racconto di fra Ibrahim, che ad Aleppo ha lasciato altri tre confratelli francescani della Custodia, fotografa una situazione tragica: «I nostri “martiri”, cioè i cristiani morti in città negli ultimi tre anni sotto i bombardamenti sono 178 – annota fra Ibrahim -: 20 sono della Chiesa latina, 20 i melchiti, 14 i greco-ortodossi, 9 i siro-ortodossi, 7 i siro-cattolici, 7 i maroniti e 101 gli armeni. Aleppo prima che scoppiasse la guerra contava circa un milione di cristiani. Oggi nessuno sa quanti siamo rimasti: forse un terzo, forse un quarto… Quando facciamo l’incontro periodico tra tutti i responsabili delle Chiese di Aleppo, nessuno dice di conoscere il numero delle famiglie o il numero delle persone della sua Chiesa. Ma alcuni dati possono farci immaginare la situazione: le 9 scuole cattoliche della città due anni fa contavano 10.500 bambini iscritti, adesso il numero è sceso a 2.500. Questo confermerebbe che i cristiani sono diventati un quarto, un terzo in due anni… E quelli che rimangono, diventano più poveri di giorno in giorno. Secondo i dati di cui dispongo, abbiamo sicuramente 442 famiglie iscritte alla nostra associazione di beneficenza parrocchiale. Quando sono arrivato ad Aleppo, a fine 2014, vi erano iscritte soltanto 220 famiglie: in cinque mesi sono raddoppiate. Lentamente credo che tutte le famiglie busseranno alle porte dell’associazione… Secondo i sondaggi della Caritas, il 70 per cento delle persone che vivono oggi ad Aleppo è sotto la soglia della povertà. Diversamente da quanto avviene a Damasco, dove la maggior parte della popolazione lavora, ad Aleppo solo un quinto degli abitanti lavora ancora».

«Il cibo – prosegue il parroco francescano – in città arriva, ma a volte chi lo vende se ne approfitta e il prezzo cresce fino a diventare insopportabile. La gente è davvero molto povera: ultimamente ci capita addirittura di dover pagare tutte le spese dei funerali perché non hanno soldi neppure per questo… Nonostante tutto, ci sono diverse cose che mi danno speranza: innanzitutto il fatto che molti cristiani di Aleppo sono decisi a non abbandonare la città. Amano Aleppo e sanno in ogni caso che se lasciano la città perderanno tutto. È positivo il fatto che pensino che ci sono ancora le condizioni per restare! Nonostante l’assedio e i bombardamenti la vita non si ferma: la biblioteca che noi frati abbiamo inaugurato alcuni mesi fa per gli studenti universitari, continua a rimanere aperta e i ragazzi continuano a studiare e a dare esami; le classi di catechismo hanno continuato a svolgersi fino all’ultima lezione, a cui erano presenti oltre 170 bambini. E poi mi consola molto vedere come ci sia tanta gente buona: trovo sempre persone disposte ad aiutare con molta facilità, disponibili, pazienti. Tra noi sacerdoti, infine, è meravigliosa la comunione che si è creata proprio in questa situazione di guerra».

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