Al-Azhar sotto tiro
L’Università di al-Azhar, la più autorevole istituzione religiosa del mondo musulmano sunnita, non vive tempi tranquilli. Dopo la destituzione di Mohammed Morsi, nel 2013, ha dovuto far fronte a ripetute ribellioni studentesche che hanno messo a ferro e fuoco i suoi campus universitari. Poi, all’inizio di quest’anno, si è messo di mezzo il presidente Abdel Fattah al-Sisi, con un forte richiamo al rinnovamento del discorso religioso. Ora gli sceicchi dell'ateneo devono rassegnarsi ai dibattiti televisivi.
L’Università di al-Azhar, la più autorevole istituzione religiosa del mondo musulmano sunnita, non vive tempi tranquilli. Dopo la destituzione di Mohammed Morsi, nel 2013, ha dovuto far fronte a ripetute ribellioni studentesche che hanno messo a ferro e fuoco i suoi campus universitari. Poi, all’inizio di quest’anno, si è messo di mezzo niente di meno che lo stesso presidente Abdel Fattah al-Sisi, con un forte richiamo al rinnovamento del discorso religioso, secondo lui non più adeguato ai tempi e fonte, in tutto il mondo, di paura e diffidenza nei confronti dell’Islam. Da qualche settimana, invece, al-Azhar è stata trascinata al centro di un putiferio mediatico causato dal programma televisivo Con Islam, trasmesso dalla tivù satellitare al-Qahira wa-l-Nas e condotto da un controverso personaggio, il giornalista e ricercatore Islam el-Beheiry.
El-Beheiry è attivo dal 2003, anno nel quale ha iniziato a pubblicare articoli per vari giornali indipendenti su argomenti relativi alla tradizione islamica. Laureato e con un passato di ricercatore in Kuwait presso il ministero degli Awqaf (sorta di ministero degli Affari religiosi), è stato anche direttore del Centro di studi islamici del quotidiano al-Yawm al-Sabaa. Nel 2008 è diventato noto grazie a un articolo su Aisha, nel quale sosteneva la tesi (condivisa anche da altri) che la ragazza non fosse andata in sposa al profeta Muhammad all’età di nove anni, come afferma la tradizione, bensì a diciotto. Ma el-Beheiry ha raggiunto la massima notorietà quando è approdato alla televisione con il suo programma, in origine nato per contrastare il pensiero religioso di salafiti e Fratelli Musulmani. Finché questo è stato lo scopo del programma, tutto è andato bene.
Nelle ultime puntate, però, el-Beheiry ha iniziato a criticare pesantemente al-Azhar e la tradizione islamica di cui è custode. In poche parole, el-Beheiry ha sostenuto che le grandi collezioni di tradizioni orali di al-Bukhari e Muslim vadano prese con cautela e rianalizzate attentamente, perché essendo opera di esseri umani, al contrario del Corano, contengono molte falsità e distorsioni. In realtà el-Beheiry, che è personaggio un po’ arrogante e non troppo raffinato, ha espresso quest’idea con parole molto più colorite, aggiungendo che il discorso religioso di al-Azhar, su molti punti, non si discosta poi tanto da quello dell’Isis e dunque necessita di una profonda riforma.
Tanti pensatori riformisti, in passato, hanno asserito le stesse idee e ne hanno pagato il prezzo. Questa volta, tuttavia, la presa sulle masse di cui gode la televisione, e la «volgarizzazione» di queste idee per il pubblico indifferenziato, hanno alzato un polverone senza precedenti. Da molti giorni, stampa, tivù e social network sono invasi da dibattiti sulla questione. Al-Azhar ha reagito stizzita. Inizialmente, alcuni sheykh hanno dovuto «abbassarsi» a partecipare a tesissimi faccia a faccia con lo scomodo el-Beheiry. Poi, non placandosi la polemica, al-Azhar ha fatto ricorso al vecchio sistema della censura, facendo domanda al garante di sospendere il programma che, secondo gli azhariti, attenterebbe ai fondamenti della religione e alla pace nazionale. Nella sua richiesta di censura, al-Azhar si è fatta forte del ruolo di massima autorità in materie islamiche che la Costituzione le attribuisce. Ma così facendo ha scatenato un altro polverone, confermando la propria natura autoritaria ed elevando un personaggio poco amato e molto discusso come el-Beheiry al rango di vittima della mancanza di libertà di espressione. Chi condivide molte delle opinioni di el-Beheiry sulla tradizione islamica, ma finora non si era espresso apertamente in suo favore a causa dell’antipatia del personaggio, non ha potuto non difenderlo nella sua lotta contro la censura. Chi invece lo avversa anche nelle sue opinioni riformiste, ha rincarato la dose. El-Beheiry sta ora subendo una feroce campagna di diffamazione. Uno sheykh sufi (per di più appartenente alla corrente riformista del sufismo) è giunto a dire, sempre in Tv, che versare il sangue di el-Beheiry è cosa lecita, affermazione, per fortuna, subito sconfessata da al-Azhar. Anche gli islamisti, i critici più spietati di al-Azhar, non hanno perso occasione per attaccare l’Università, accusandola di non essere in grado di difendere l’Islam.
Ironia della sorte, ora il destino del programma di el-Beheiry è nelle mani del garante, ovvero del governo, cioè del presidente al-Sisi, lo stesso che per primo ha buttato nel piatto la questione della riforma religiosa. Cosa farà il governo dell’ex generale? Per ora al-Sisi si è limitato a dire pubblicamente che la riforma islamica è responsabilità delle istituzioni e non di singole persone, dichiarazione non molto promettente per el-Beheiry.
Nel frattempo, per calmare gli animi, la Cbc ha tenuto un faccia a faccia fra el-Beheiry e due sheykh di al-Azhar, seguitissimo dal pubblico, con il proposito di avviare un dialogo «pacato» sulle questioni sollevate dal contestato ricercatore.
Qualunque cosa accadrà, però, un altro tabù è caduto: gli sheykh di al-Azhar non siedono più tranquilli sui loro scanni con un’aura di santità, lontano dal clamore della massa, ma sono chiamati a rispondere a domande insidiose in diretta televisiva; e il pubblico, a sua volta, è chiamato a porsi le stesse insidiose domande, informandosi e ragionando con la propria testa.