A nord del Mar Morto, poco prima che il fiume Giordano si mischi alle acque del grande bacino salato, tutti conoscono il sito del Battesimo di Gesù, teatro della predicazione di Giovanni Battista. Ma alcune decine di chilometri più a sud la Giordania conserva i resti di un altro complesso cristiano: il monastero bizantino dedicato a Lot, uno dei giusti del libro della Genesi.
Se si costeggia da nord a sud la sponda orientale del Mar Morto il paesaggio cambia più volte. La punta settentrionale del grande bacino salato accoglie le acque del fiume Giordano in una zona dalla vegetazione bassa ma lussureggiante, che all’alba e al tramonto risuona dei mille cinguettii delle diverse specie di uccelli che si annidano tra le acque limacciose e gli arbusti. Troviamo qui un primo luogo santo che fa memoria del battesimo di Gesù, ma, secondo la tradizione, fu anche teatro dell’ascesa al cielo del profeta Elia su un carro di fuoco (sotto gli occhi del discepolo Eliseo).
Proseguendo lungo la costa c’è poi l’area – più brulla se non fosse per l’intervento di sapienti giardinieri – su cui sorgono i grandi complessi alberghieri di lusso e gli stabilimenti balneari per tasche più o meno abbienti. Di lì a poco le spiagge scompaiono e i fianchi rocciosi delle montagne precipitano a picco nel mare formando una scogliera. A un certo punto sulla destra della strada si apre un ampio spazio che consente agli automobilisti di concedersi una sosta per gustarsi il panorama. Una piccola guglia di roccia scura sovrasta l’area di sosta. Il pensiero va alla moglie di Lot, pietrificata per avere disobbedito all’ordine di un angelo.
Un pugno di chilometri più a sud, dove lo specchio principale del Mar Morto si trasforma in ampie saline poco profonde, la terra torna verde. Siamo sempre in Giordania, nei dintorni di Ghor es-Safi, una cittadina di almeno 30 mila abitanti. Il clima è torrido in estate, ma alquanto mite in inverno e sempre secco. Siamo nel punto più basso delle terre emerse, a 400 metri sotto il livello del mare. I fianchi delle montagne qui sono generosi d’acqua dolce, che zampilla dalle sorgenti e spesso gonfia i letti in secca di numerosi torrenti. Così la pianura che si estende tra i monti e la riva del mare è terreno fertile per la coltivazione di ortaggi, banane, palme da dattero e anche fiori. Fino a tre secoli fa questa era terra di canna da zucchero. Il prezioso dolcificante veniva estratto, raffinato ed esportato ovunque, insieme ai minerali sottratti al mare e alle viscere della terra (rame, bitume, sale, ecc.).
Per queste sue caratteristiche l’area dei Ghor è da almeno diecimila anni propizia a insediamenti umani anche prosperi. Nei dintorni dovevano sorgere, secondo gli studiosi, anche le città bibliche di Sodoma e Gomorra. Lot abitava nella prima e se ne dovette allontanare precipitosamente, su ordine degli angeli, per sottrarsi con la sua famiglia al castigo divino nei confronti dei suoi concittadini. Il racconto lo troviamo nel primo libro della Bibbia ebraica e cristiana – la Genesi – al capitolo 19, ma il nome del giusto Lot torna una trentina di volte anche nel Corano. La narrazione biblica dice che alla fuga sopravvissero solo l’uomo e le due figlie, che finirono per rifugiarsi in una caverna non lontana dalla città di Zoar, che sarebbe l’odierna Ghor es-Safi (o anche semplicemente Safi).
Nel 1986, pochi chilometri a nord-est della città, alcuni scavi archeologici riportarono alla luce i primi resti di una chiesa con tre absidi di epoca bizantina che sorgeva a mezza costa sul pendio della montagna, di fronte all’ingresso di una grotta. Quando la grotta fu scoperta c’era una piccola stanza pavimentata con lastre di marmo bianco e, curiosamente, centinaia di lampade ad olio di vetro e di ceramica. Segno evidente che l’antro era stato la parte più venerata della chiesa.
Gli esperti ipotizzarono che potesse trattarsi di un santuario dedicato a Lot, venerato come santo dai primi cristiani. E in effetti un edificio dedicato al personaggio biblico veniva rappresentato in prossimità della sponda orientale del Mar Morto nella celebre mappa di Madaba, riprodotta con la tecnica del mosaico nel Sesto secolo sul pavimento di una chiesa (oggi greco-ortodossa) della città giordana.
La scoperta di metà anni Ottanta diede inizio a un decennio di accurate indagini. Una spedizione archeologica internazionale, guidata dal greco Kostantinos D. Politis ci ha restituito i resti di un monastero cristiano, organizzato secondo il modello della “laura” e cioè un complesso di celle ricavate in anfratti della parete montuosa in cui i monaci conducevano vita eremitica. Solo la domenica gli anacoreti si incontravano nell’edificio centrale per celebrare coralmente la liturgia nella basilica centrale e consumare un pasto comune in refettorio. Le iscrizioni in greco riprodotte nei mosaici della chiesa fanno preciso riferimento a san Lot.
Il complesso del monastero di ‘Ayn ‘Abata – chiamato così in arabo perché sorge accanto a una sorgente denominata «Fonte dell’abate» – nel 1995 è stato dichiarato «luogo santo» da re Hussein di Giordania, e assegnato alla tutela del ministero del Turismo e delle Antichità e di quello per gli Affari religiosi. Dal 2012 un interessante museo appositamente costruito poche decine di metri più a valle, introduce i visitatori alla conoscenza del luogo e della regione dei Ghor. Una serie di pannelli esplicativi accompagna e contestualizza il campionario di reperti esposti nelle teche con le indispensabili didascalie.
Il grosso dei reperti rinvenuti nel sito risale al primo periodo bizantino (tra il quinto e il settimo secolo d.C.) ed è associato alla chiesa e al monastero. La presenza di ceramiche del tardo periodo ellenistico (primo secolo a.C. – primo secolo d.C) testimonia però un insediamento d’epoca precedente. Sepolture dentro e intorno al monastero risalenti alla prima età del Bronzo I (3000 anni circa a.C.) e alla media età del Bronzo II (tra il 2000 e il 1500 a.C.) fanno intuire che l’area di Dair ‘Ayn ‘Abata era considerata sacra anche in epoca pre-cristiana.
Il sito è stato abitato fino all’inizio del Califfato abbaside (fine dell’Ottavo-inizio del Nono secolo d.C.), il che potrebbe indicare una continua venerazione della popolazione cristiana e musulmana dell’area nei confronti di Lot.
—
Chi volesse saperne di più sul santuario di San Lot può leggere il saggio (in lingua inglese) dell’archeologo Konstantinos D. Politis intitolato “The Sanctuary of Lot at Deir ‘Ain ‘Abata in Jordan”, pubblicato nel volume Christ is here! (Edizioni Terra Santa, 2012).