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Un abbraccio intorno agli ebrei d’Europa

Francesco Pistocchini
4 marzo 2015
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Un abbraccio intorno agli ebrei d’Europa
22 dicembre 2014, un gruppo di ebrei provenienti dall'Ucraina sbarca all'aeroporto di Tel Aviv dopo aver deciso di immigrare in Israele. (foto Flash90)

I recenti attentati antisemiti in varie città d'Europa hanno alimentato il clima di preoccupazione nelle comunità ebraiche del Vecchio continente. Non stupisce perciò che sia in crescita il numero di coloro che decidono di fare l'aliyah, cioè di emigrare in Israele. Non è un esodo di grandi proporzioni, perché i più scelgono di restare nella terra in cui sono nati.


Dopo i recenti attentati antisemiti di Copenaghen, in Danimarca, il gesto di un migliaio di persone, tra cui molti musulmani, che il 21 febbraio hanno formato una catena intorno alla sinagoga di Oslo, in Norvegia, è una risposta al clima di preoccupazione che vivono le comunità ebraiche in Europa. Il 15 febbraio l’uccisione di due persone nella sinagoga danese da parte di un giovane, figlio di immigrati palestinesi, ha approfondito il senso di insicurezza che attraversa il Vecchio continente dopo le stragi di Parigi, a inizio anno, e le offensive, anche mediatiche, del sedicente Stato Islamico.

L’anello di pace, promosso da giovani musulmani immigrati in Norvegia ha voluto essere un messaggio di amore e unità tra i fedeli delle diverse religioni. Il presidente della piccola comunità ebraica norvegese, Ervin Kohn, ha definito un fatto unico questo raduno che ha raccolto tanta gente in un giorno d’inverno con temperature sotto lo zero.

Tuttavia i 17 morti di Parigi e i due di Copenaghen spingono diversi ebrei europei a progettare il proprio trasferimento in Israele. Una legge del 1950, la Legge del ritorno, offre questo diritto a ogni ebreo in ogni parte del mondo: il ritorno dalla diaspora ha un nome preciso, aliyah, parola che indica «ascesa», «salita» verso Gerusalemme (che in effetti è in posizione elevata rispetto al territorio circostante) e in senso lato verso la terra di Israele (Eretz Israel).

Dopo lo sterminio di milioni di ebrei nei lager nazisti, la maggior parte dei superstiti si sono progressivamente trasferiti nel nuovo Stato, fondato nel 1948. Rispetto a oltre 9 milioni del 1940, oggi solo un milione e mezzo di ebrei vivono in Europa, concentrati soprattutto in Francia (circa 500 mila) e in Gran Bretagna (circa 300 mila). Ma nel 2014 il flusso di coloro che si trasferiscono in Israele (oltre 25 mila) ha segnato un picco rispetto all’ultimo decennio. L’aliyah, gestita da un’apposita agenzia per l’immigrazione israeliana, mostra oggi, perciò, segni di incremento. Anche la grave incertezza politica che attraversa l’Ucraina è un fattore che spinge gli ebrei di quel Paese a partire. Dei circa 25mila ebrei italiani, l’anno scorso ben 323 hanno intrapreso l’aliyah, il numero in percentuale più alto da diversi decenni, ma piccolo in termini assoluti e che riflette il disagio di vivere in un Paese da anni in crisi economica e dove atteggiamenti antisemiti si diffondono nei media e nel dibattito politico.

Tuttavia, questi dati relativi non rappresentano una prossima emigrazione di massa dall’Europa, come ha voluto far intendere Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano, in piena campagna elettorale per le elezioni anticipate del 17 marzo, ha parlato di misure straordinarie che Israele potrebbe essere chiamato a prendere per affrontare flussi massicci. Le posizioni del leader israeliano sono state criticate da molti che le considerano strumentali: una crescita dell’immigrazione è in corso, ma nessun esodo.

Nella Danimarca occupata dai nazisti nella Seconda guerra mondiale oltre settemila ebrei furono portati in salvo dai danesi stessi che li accompagnarono con le barche al sicuro nella vicina Svezia neutrale. Solo circa 500 furono catturati dai tedeschi. Forti di questa memoria, gli ebrei danesi hanno risposto a Netanyahu che il terrorismo non è un motivo sufficiente per emigrare in Israele. Anche i portavoce delle comunità ebraiche francesi hanno respinto la posizione di Netanyahu.

Da quest’anno in Spagna è entrata in vigore una nuova legge che conferisce la cittadinanza a qualsiasi ebreo discendente dei sefarditi espulsi alla fine del Quattrocento, in epoca di Inquisizione, e che ne faccia domanda. Un’altra risposta fortemente simbolica in controtendenza rispetto al crescere di movimenti xenofobi e antisemiti.

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