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I giordani uniti contro lo Stato Islamico, con qualche distinguo

Terrasanta.net
9 febbraio 2015
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I giordani uniti contro lo Stato Islamico, con qualche distinguo
Anche i cittadini cristiani in Giordania partecipano al cordoglio per il pilota ucciso dai terroristi dello Stato Islamico.

Ha scosso tutti i connazionali la terribile sorte del pilota dell’aeronautica giordana, il tenente Muath Kasasbeh, caduto il 24 dicembre scorso nelle mani dei banditi dello Stato Islamico, e in seguito bruciato vivo dai suoi carnefici. Anche i cristiani partecipano al lutto nazionale ed evocano un impegno comune. Eppure non mancano le voci fuori dal coro.


(g.s.) – Ha scosso tutti i connazionali la terribile sorte del pilota dell’aeronautica giordana, il tenente Muath Kasasbeh, caduto il 24 dicembre scorso nelle mani dei banditi dello Stato Islamico, dopo che il suo caccia era stato abbattuto durante un bombardamento della coalizione internazionale anti Isil, e in seguito bruciato vivo dai suoi carnefici, che hanno documentato l’esecuzione con un video propagandistico.

I giordani si raccolgono intorno al sovrano – re Abdallah II – e al governo che giurano vendetta e una guerra senza quartiere ai terroristi dai neri vessilli su cui campeggiano la professione di fede in Allah e il sigillo del profeta Maometto.

Anche i cristiani partecipano al lutto e alla mobilitazione nazionale, pur non condividono gli accenti più sanguinari e forcaioli. Il 4 febbraio a mezzogiorno le campane delle chiese hanno suonato a lutto per il giovane caduto musulmano e nelle messe vespertine si è pregato espressamente per lui.

Lo stesso giorno, appresa la notizia della morte di Kasasbeh, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, la cui giurisdizione si estende anche alla Giordania, ha emanato un comunicato per esprimere la partecipazione del clero e dei fedeli della diocesi «alla sofferenza della grande famiglia giordana» e dei familiari del pilota. Twal, che è egli stesso cittadino giordano, ha osservato che «troppi uomini e donne, di tutte le fedi, hanno già perso la vita in modo tragico e disumano da quando è emerso il cosiddetto Stato islamico, che non è uno Stato e non può farsi forte di alcuna religione, anzi tutt’altro».

Il patriarca ha auspicato una mobilitazione generale: «Noi tutti, credenti cristiani e musulmani, siamo esposti alle loro aggressioni. Siamo chiamati a unire le forze con tutti gli uomini di buona volontà per combatterli, soprattutto con la forza della preghiera e di una sana educazione. Il timore di Dio, che condividiamo, ci deve spingere a vivere come fratelli e a sostenerci come abbiamo fatto per secoli, insieme nel Medio Oriente».

Di qua e di là del fiume Giordano si registrano tuttavia anche voci fuori dal coro. Gli ambienti vicini ai Fratelli Musulmani esitano a prendere le distanze in modo netto dagli uomini dell’autoproclamato califfato (o Stato Islamico) e rifiutano di classificarli come «terroristi». Lo documenta, ad esempio, questo stralcio di intervista televisiva a Hamza Mansour leader del Fronte islamico d’azione, braccio politico della Fratellanza, rilanciato con sottotitoli in inglese dall’Istituto di ricerca sui media mediorientali (Memri).

Sul versante palestinese anche esponenti di Hamas esitano a prendere le distanze dall’Isil. Pur condannando la barbara esecuzione del pilota giordano, criticano la scelta di campo del governo di Amman, che aderisce alla colazione militare internazionale avversaria dello Stato Islamico e – dicono loro – «si immischia in faccende altrui», come il conflitto siriano.

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