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Gaza e i fondi promessi che non arrivano

Terrasanta.net
24 febbraio 2015
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Gaza e i fondi promessi che non arrivano
Operazione in valuta estera allo sportello di una banca di Gaza. (foto: Abed Rahim Khatib/Flash90)

A cinque mesi dai bombardamenti israeliani della scorsa estate, il paesaggio della Striscia di Gaza è ancora caratterizzato da molti cumuli di macerie. E non potrebbe essere altrimenti. Infatti, solo il 5 per cento del denaro stanziato dalla comunità internazionale per ricostruire (5,4 miliardi di dollari), è giunto a destinazione...


(c.g.) – A cinque mesi dai bombardamenti della scorsa estate, il paesaggio di Gaza è ancora caratterizzato da molti cumuli di macerie. E non potrebbe essere altrimenti. Infatti, solo il 5 per cento del denaro stanziato dalla comunità internazionale per ricostruire, è giunto a destinazione.

A comunicarlo è Irin, agenzia d’informazione indipendente specializzata su emergenze umanitarie internazionali. Alla Conferenza del Cairo, lo scorso ottobre, i leader di tutto il mondo promisero 5,4 miliardi di dollari per la ricostruzione della Striscia; ma le cose non sono andate come previsto: «Fino ad oggi abbiamo ricevuto solo 300 milioni di dollari (circa il 5,6 per cento dei fondi promessi totali – ndr) – ha rivelato ad Irin una fonte del vice-primo ministro Mohammad Mustafa, che sta guidando la ricostruzione a Gaza -. I progetti che stiamo tenendo in sospeso a causa di questo ritardo sono i più impegnativi, quelli cioè relativi alla ricostruzione delle case e delle strade».

La rivelazione del ministero dell’Interno palestinese conferma una situazione assai critica che Robert Turner, capo dell’ufficio Onu per gli aiuti a Gaza aveva denunciato già qualche settimana fa. Il 27 gennaio scorso Turner aveva dichiarato di essere stato costretto a sospendere gli aiuti per le vittime dei bombardamenti su Gaza a, causa della mancata erogazione di fondi da parte delle nazioni donatrici. Secondo Turner «praticamente nulla» dei 5,4 miliardi di dollari promessi, aveva raggiunto il territorio di Gaza. Situazione che si fa drammatica di giorno in giorno, per via dell’urgenza di ricostruire una casa a 96 mila famiglie senza dimora della Striscia, per cui occorrerebbe una spesa stimata di circa 720 milioni di dollari. Va ricordato che l’operazione militare della scorsa estate oltre alla distruzione di strade, abitazioni e infrastrutture, ha lasciato sul campo circa 2.200 morti palestinesi, 72 morti israeliani centinaia di mutilati e feriti. Nonostante la conferenza del Cairo si sia svolta subito dopo l’estate, l’obiettivo di garantire prima della brutta stagione un tetto a molte famiglie della Striscia non è stato raggiunto. E l’inverno non è stato mite, portando con sé violente piogge ed inondazioni (come è avvenuto a gennaio), particolarmente devastanti per le migliaia di famiglie senza dimora.

Sono diversi i motivi per cui gli Stati donatori faticano a pagare. Secondo Irin, oltre ai problemi finanziari di ciascuno Stato, uno dei motivi che frenerebbe i donatori a versare quanto promesso, è l’incertezza politica dell’area. Già prima della conferenza del Cairo diversi Stati donatori avevano manifestato la loro frustrazione; avendo già promesso di donare per la ricostruzione di Gaza nel 2009 e nel 2012. «Senza un cambiamento politico credo che alla fine doneremo – aveva dichiarato ad Irin qualche giorno prima della Conferenza un diplomatico occidentale – ma sarà come un ri-confezionamento dell’aiuto che diamo già oggi… In effetti nessuno dei fondi che stanzieremo sarà una nuova donazione. Non vedo proprio all’orizzonte un così grande coinvolgimento o una così grande speranza…».

Ma chi sono e quanto hanno promesso di dare per la ricostruzione di Gaza gli Stati donatori? La nazione più generosa sarebbe il Qatar, storico alleato del movimento palestinese Hamas che controlla la Striscia di Gaza, che avrebbe promesso da solo un miliardo di dollari; segue l’Arabia Saudita (500 milioni di dollari); poi Turchia ed Emirati Arabi (200 milioni); Unione Europea (568) e Stati Uniti (212). Poi, in forma individuale alcuni singoli Paesi europei ed altre nazioni.

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