Tristezza e sorpresa nel quarto anniversario della rivoluzione
In Egitto il quarto anniversario della rivoluzione è trascorso nella tristezza per il barbaro assassinio di una giovane attivista politica: Shaymaa el-Sebbagh che il 24 gennaio era in strada, al Cairo, a manifestare in modo non violento. L'episodio ha indotto persino il direttore del quotidiano filogovernativo al-Ahram a scrivere un editoriale indignato.
In Egitto il quarto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir è trascorso nella tristezza. Non perché le celebrazioni ufficiali sono state cancellate per onorare il lutto del re saudita, ma per il barbaro assassinio, il giorno precedente, di una giovane attivista politica, una morte feroce che ha già assunto forti valenze simboliche.
Shaymaa el-Sebbagh, poco più che trentenne, il 24 gennaio era in strada, al Cairo, a manifestare con i compagni dell’Alleanza socialista popolare. Una manifestazione minuscola, con una trentina di persone soltanto, organizzata per ribadire la libertà di dimostrare, oggi soffocata da una micidiale legge anti-proteste, grazie alla quale centinaia di persone stanno marcendo in prigione. Gli organizzatori avevano notificato la manifestazione alle forze di sicurezza e – pare – stavano contrattando con la polizia. L’unico slogan che il gruppuscolo gridava non era esplicitamente contro l’attuale regime, era il cavallo di battaglia della rivoluzione del 2011: «Pane, libertà, giustizia sociale». Poi, i manifestanti hanno cercato di raggiungere il centro di piazza Tahrir, per deporre corone di fiori ai piedi del memoriale dedicato alle vittime della rivoluzione. A quel punto, la polizia si è scatenata, come se quel semplice atto di memoria rappresentasse un sommo pericolo. Dopo i lacrimogeni, sono iniziati a piovere pallettoni. A detta dei testimoni, un poliziotto, mascherato, si è avvicinato a Shaymaa e, da una distanza di pochi metri, le ha sparato, colpendola al cuore e al polmone. Lei è morta pochi minuti dopo, fra le braccia del marito che cercava disperatamente aiuto.
Shaymaa non è certo la prima vittima della polizia. Un’altra ragazza, un’adolescente, era stata uccisa il giorno prima, durante una manifestazione pro-Morsi. Con l’assassinio di Shaymaa, però, si è andati forse oltre ogni limite. Sarà perché la propaganda di regime ha trovato arduo distorcere l’accaduto, visto che i video in circolazione parlano abbastanza chiaro. Sarà perché quella piccola, innocua manifestazione, armata solo di fiori, voce e cartelli proprio non si piega al ritratto dei temibili terroristi che i mass media diffondono ogni giorno. O forse, perché la misura va colmandosi rapidamente e l’efferatezza della polizia, questa volta, è stata davvero insopportabile, anche per i più indulgenti. Comunque sia, la morte di Shaymaa ha sollevato l’ondata di rabbia e indignazione più forte dell’ultimo anno e mezzo, un’indignazione che ricorda quella seguita all’assassinio, nel giugno 2010, del giovane Khaled Said, il volto simbolo della Rivoluzione di gennaio. Il funerale di Shaymaa, ad Alessandria, è stato oceanico.
E proprio con l’uccisione di Shaymaa, per la prima volta, si è incrinata la corazza del regime, dove meno sembrava probabile, per giunta. Il 26 gennaio, Ahmed al-Naggar, direttore del quotidiano di Stato al-Ahram, scrivendo un lungo editoriale per il proprio giornale, ha sbalordito tutti. Innanzitutto, ha denunciato con parole dure, dal linguaggio «rivoluzionario», l’assassinio della giovane donna e l’agire della polizia. Poi, senza troppi giri di parole, ha interpellato il presidente Abdel Fattah al-Sisi in persona: «Il diritto violato di Shaymaa pesa sul collo di tutti noi, in primo luogo su quello del presidente eletto, sul quale ricade, per lo meno, la responsabilità di proteggere i figli di questa nazione dall’abuso di potere». Al-Naggar ha descritto l’omicidio di Shaymaa come una nuova umiliazione frutto della legge antiproteste e di una «logica della forza bruta usata per terrorizzare le persone pacifiche che nulla hanno a che fare con la violenza». Ha inoltre espresso la speranza che sia aperta un’indagine seria sull’accaduto e che non sia la polizia a raccogliere le prove, come successo per i martiri della rivoluzione, poiché la polizia è chiaramente l’imputata. Infine, al-Naggar ha messo in guardia, prima che sia troppo tardi, da un ritorno alle politiche del regime di Hosni Mubarak, contro le quali i giovani si sono ribellati. Ha chiesto, per cominciare, la cancellazione della legge anti-proteste, concludendo con un discorso di totale solidarietà e sostegno ai giovani della rivoluzione. Un editoriale che rappresenta un evento storicamente inaudito.
A questo punto, si profilano due possibilità: o l’assassinio di Shaymaa è davvero stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sopportazione persino del direttore del quotidiano più fedele al governo, oppure questo sorprendente editoriale è parte (così come i ripetuti leaks dalle stanze del potere) di un conflitto interno allo stesso regime. In entrambi i casi, il presidente Sisi non può dormire sonni tranquilli. Staremo a vedere…