Nebni, la scelta di costruire
L’opinione diffusa, sia in Europa sia in Egitto, è che la rivoluzione di piazza Tahrir sia ormai archiviata, soffocata dalla dialettica conflittuale fra autoritarismo militare e islamismo. Blogger e attivisti di sinistra, alla ricerca di una terza via, sono bloccati in uno scontro frontale con lo Stato e la speranza di realizzare le aspirazioni della rivoluzione sembra spenta. Per fortuna, però, non è così, come testimonia la storia dell'ong Nebni.
L’opinione diffusa, sia in Europa sia in Egitto, è che la rivoluzione di piazza Tahrir sia ormai archiviata, soffocata dalla dialettica conflittuale fra autoritarismo militare e islamismo. Blogger e attivisti di sinistra, alla ricerca di una terza via, sono bloccati in uno scontro frontale con lo Stato. Uno scontro, però, che finora ha raccolto scarsissima solidarietà popolare e ha prodotto pochissimi risultati, se non lo scatenamento di una pesante repressione nei loro confronti. La speranza di realizzare le aspirazioni della rivoluzione, anche solo in minima parte, sembra spenta. I ragazzi che nel 2011 avevano riempito piazza Tahrir paiono volatilizzati. Per fortuna, però, non è così. Lo testimonia la storia di Nebni.
Nebni è un’ong creata all’indomani della rivoluzione del 2011 da un gruppo di giovani che hanno partecipato alla rivolta. Il suo fondatore è Jawad Nabulsi, volto noto in piazza Tahrir e poco al di fuori. Il 28 gennaio 2011, giorno in cui la rivoluzione ha preso quota, Jawad ha perso un occhio negli scontri con le forze di sicurezza. Come per molti altri ragazzi, tuttavia, questa ferita non l’ha portato né a gettare la spugna, né a «estremizzarsi» abbracciando la violenza. Come scrive sul suo account di Twitter, «la felicità è ciò che ho cercato, trovato e continuo a sostenere». Per farlo, Jawad e altri amici hanno fondato Nebni, che in egiziano significa «Costruiamo». Per portare avanti gli ideali della rivoluzione, questi giovani non hanno scelto l’impegno politico, bensì il lavoro di empowerment dei più emarginati, agendo lontano da qualsiasi affiliazione politica o ideologica.
Nebni sceglie di seguire le regole, raccoglie più di 400 volontari e ottiene il riconoscimento legale dal ministero della Solidarietà sociale, in base alla nuova legge del 2011. Adotta anche la trasparenza, pubblicando sponsor e bilancio sul proprio sito web. Per i suoi interventi sceglie la baraccopoli di Manshiyat Nasser (circoscrizione del Cairo) che nacque per ospitare i rifugiati del canale di Suez in fuga dall’invasione israeliana del 1967. Oggi la zona ha circa 200 mila abitanti e ospita soprattutto i cosiddetti zabbalin, i raccoglitori d’immondizia, fra i quali si trovano anche molti bambini. Nel 2012, il Governatorato del Cairo concede ai giovani di Nebni la propria sede locale perché ne facciano il loro quartier generale. Le attività di Nebni, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, si concentrano principalmente sull’alfabetizzazione dei bambini e sulla formazione degli insegnanti, ma includono anche periodiche sessioni di cure mediche gratuite, il microcredito ai giovani con piccoli progetti da avviare, mostre di manufatti realizzati da ragazzi disoccupati, oppure, semplicemente, campagne di pittura e restauro degli edifici della zona.
Nonostante la sua legalità e trasparenza, però, Nebni dà molto fastidio. La scelta di legalità l’ha protetta dalla scure che ha abbattuto più di un migliaio di ong egiziane, non però dal mobbing continuo. Da quando è nata, ha già subito sei tentativi di sfratto, finora tutti andati a vuoto grazie al sostegno degli abitanti locali e alla mobilitazione popolare che ogni volta si scatenano. Il primo a provarci è stato il governo islamista di Mohammed Morsi, nel 2012, perché l’iniziativa di Nebni era una chiara sfida, di stampo laico, all’egemonia islamista nel campo dell’azione sociale. Dal 2014, invece, è il Governatorato del Cairo che ha ripetutamente provato a sfrattare Nebni. A dicembre ha emanato l’ennesima ingiunzione di sfratto per far posto a un ufficio postale. A quanto dice il governatore, la motivazione addotta dal ministero della Solidarietà sociale (lo stesso che ha riconosciuto legalmente l’ong) è che Nebni non fa nulla sul territorio, le sue attività sarebbero inesistenti. Accusa del tutto infondata, come possono testimoniare migliaia di famiglie di Manshiyat Naser che usufruiscono dei servizi di Nebni.
La situazione, per ora, è instabile. Lo sfratto non è ancora stato eseguito, ma i volontari di Nebni non abbandonano la sede nemmeno di notte e continuano la loro battaglia non violenta, investendo nell’educazione, resistendo a quanto di corrotto c’è nelle istituzioni e sfruttando positivamente lo spazio che queste stesse istituzioni ancora offrono. Nebni potrebbe essere definita la quarta via, quella che ha scelto di costruire, non aggressiva, umile, guidata dai nobili ideali scanditi in piazza Tahrir ma disposta a negoziare, a confrontarsi con la realtà, pragmatica e al tempo stesso sognatrice.
Nebni è la speranza per il futuro.