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In Egitto la sfida del presidente al-Sisi passa soprattutto dalla credibilità

Lorenzo Nannetti
20 gennaio 2015
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In Egitto la sfida del presidente al-Sisi passa soprattutto dalla credibilità
Il presidente egiziano al-Sisi parla ad al-Azhar.

Grande sorpresa hanno destato le parole rivolte il 28 dicembre scorso dal presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi a studenti e insegnanti dell’Università al-Azhar del Cairo, uno dei massimi centri religiosi dell’Islam sunnita. Il presidente ha chiesto di mettere da parte le ideologie e dare un nuovo volto all'Islam. Ma non è facile come dirlo ed ecco perché.


In un mondo che guarda con apprensione alle sfide lanciate dal terrorismo islamico e che chiede che l’Islam moderato alzi la voce contro gli estremismi, grande sorpresa hanno destato le parole rivolte, il 28 dicembre scorso, dal presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi a studenti e insegnanti dell’Università al-Azhar del Cairo, uno dei massimi centri religiosi dell’Islam sunnita.

Come riportato da numerosi media, il presidente ha indicato come il mondo islamico intero sia diventato per molti «fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione». Ha quindi proposto la necessità di una «rivoluzione religiosa» che deve essere portata avanti dagli imam e dai mufti per sradicare il fanatismo e proporre una «visione più illuminata del mondo».

Questa presa di posizione molto forte colpisce ancora di più l’attenzione, in quanto avvenuta prima dei fatti di Parigi (le azioni terroristiche del 7 e 9 gennaio) e dunque un po’ in contrasto con la nostra visione secondo la quale i leader islamici non si sarebbero mai mossi a criticare il terrorismo. In realtà i vertici di al-Azhar (e non solo loro) si erano già espressi con forza contro lo Stato Islamico durante l’estate del 2014, ma l’opinione pubblica occidentale paga, in questi casi, un generale disinteresse dei media a raccontare queste storie quando avvengono al di fuori dell’Europa.

L’importanza del discorso però rischia, allo stesso modo, di non essere compresa correttamente da un Occidente che da un lato apprezza ma dall’altro non sempre coglie come questo si inserisca nelle dinamiche interne al mondo musulmano, religioso e laico.

L’università al-Azhar infatti è uno dei principali centri di studio dell’Islam sunnita e nel nostro immaginario è spesso vista come uno dei «fari» della moderazione. Sarebbe sbagliato tuttavia considerare ogni parola che da lì proviene come sufficiente a modificare gli equilibri attuali. Se da un lato sicuramente i moderati troveranno conforto nelle parole del presidente egiziano e in quelle delle alte cariche dell’Università, dall’altro l’Islam che si allinea alla corrente wahhabita (ovvero a una lettura del Corano e della Sunna che, senza entrare nei dettagli, potremmo definire molto rigida) difficilmente ne risulterà particolarmente influenzato. Perché?

Perché al-Azhar è un’istituzione la cui reputazione è tradizionalmente messa in dubbio dalla sua storica eccessiva vicinanza all’establishment del Paese; in pratica, in un Egitto che ha spesso visto il dissenso e l’estremismo religioso repressi anche con ferocia, l’Università è stata sempre considerata collusa con il regime. A ragione o a torto, era vista così ai tempi di Hosni Mubarak ed è vista così ora, ai tempi di al-Sisi. Del resto il presidente stesso, reprimendo (fino a dichiarare illegale) la Fratellanza Musulmana, si è presentato fin dal principio del suo mandato come principale avversario dell’Islam politico, inteso come il tentativo di partiti dichiaratamente islamici di prendere il potere, politicamente o altrimenti.

Il suo discorso viene così visto come una mossa principalmente politica, volta a guadagnare un supporto nella sua lotta contro gli estremismi che minacciano il suo governo, ma che difficilmente farà breccia tra chi ha già un’idea diversa. Il problema copre la stessa al-Azhar: gli altri prelati condividono la visione moderata dell’Islam aderendo a scuole giuridiche di tale indirizzo, ma in questi ultimi anni tra i ranghi inferiori degli insegnanti e degli studenti si sono fatti largo molti che abbracciano un visione più estremista. È un segno da un lato di una minore sottomissione al regime, e dall’altro del rischio che questo comunque comporta.

In altre parole il problema, un vero paradosso, è questo: se le istituzioni islamiche rimangono controllate, si evita che cadano nell’orbita estremista, ma la loro credibilità è messa in discussione quando richiamano alla moderazione. Se invece viene concessa maggiore libertà di discussione al loro interno, la credibilità cresce, ma si rischia che prendano sempre maggior presa gli estremismi, i cui studiosi sono generalmente più attivi e capaci di catturare l’attenzione.

Discorso inutile dunque? In realtà no. Esso è comunque una forte novità perché per la prima volta un leader parla in maniera tanto forte dai banchi di un’istituzione islamica, cercando di coinvolgere gli studiosi stessi in un dialogo che finora è rimasto spesso sepolto da altre preoccupazioni. Sarà però necessario che non rimanga isolato al solo Egitto, dove le connotazioni politiche dell’evento rischiano di sovrastare il valore religioso. Inoltre, non va dimenticato come siano le difficoltà socioeconomiche di alcune parti del Paese, e del Medio Oriente in genere, a rendere il terreno fertile per l’estremismo, al di là delle dispute teologiche. La vera sfida dunque non è solo quella, pur lodevole, di promuovere il dialogo e la moderazione, ma di fornire anche le condizioni per le quali ciò possa essere accolto da popolazioni le cui difficoltà spingono altrove.

Non si tratta dunque di ovviare solo a decenni di mancato dibattito all’interno dell’Islam, ma anche a decenni di fallimenti della classe dirigente locale nel produrre uno sviluppo sostenibile per il proprio popolo. E questo rende la partita ancora più difficile.

Clicca qui per il video – con sottotitoli in inglese – di uno dei passaggi salienti del discorso di al-Sisi all’Università di al-Azhar.

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