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È guerriglia a Sana’a e lo Yemen esce dal cono d’ombra

Giuseppe Caffulli
23 gennaio 2015
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Sana’a è una città di fango e sabbia, un microcosmo fragile che negli ultimi giorni ha rischiato di schiantarsi sotto le raffiche delle milizie sciite. Dopo aspri combattimenti, il presidente yemenita Abd Rabbo Mansour el-Hadi e gli insorti Houthi, hanno fortunatamente raggiunto un accordo per uscire dalla crisi dopo diversi giorni di violenze e la presa del palazzo presidenziale. Cessato l'allarme, lo Yemen tornerà nel cono d'ombra in cui lo relegano i media internazionali?


Sana’a è una città di fango e sabbia, un microcosmo fragile che negli ultimi giorni ha rischiato di schiantarsi sotto le raffiche delle milizie sciite. Dopo aspri combattimenti, il presidente yemenita Abd Rabbo Mansour el-Hadi e gli insorti Houthi hanno fortunatamente raggiunto un accordo per uscire dalla crisi dopo diversi giorni di violenze e la presa del palazzo presidenziale. In cambio del cessate il fuoco, le milizie sciite avrebbero ottenuto di poter emendare il testo della nuova costituzione per ottenere una «rappresentanza equa» nelle istituzioni dello Stato.

Gli Houthi ritengono di essere stati esclusi dal progetto di costituzione (che prevede uno Stato federale diviso in sei regioni). Inoltre contestano la suddivisione, che dividerebbe le zone ricche del paese dalle zone povere, condannandole alla miseria.

Della situazione dello Yemen (26 milioni di abitanti, di cui 10 milioni al di sotto della soglia di povertà) nessuno si interessa più di tanto. È pur vero che, al paragone di altre tragedie, quella yemenita non compare ai primi posti… In ogni caso la guerra civile che da tempo contrappone il governo e le milizie sciite (in un Paese dove pure è massiccia la presenza di al-Qaeda, che si rifà però all’osservanza sunnita) ha seminato morte e distruzione in diverse aree del Paese, dove centinaia di migliaia di profughi sono stati costretti a lasciare le proprie case, distrutte a colpi di mortaio durante i combattimenti tra le opposte fazioni.

Di questa tragedia dimenticata (300 mila profughi disseminati in veri campi profughi nel Nord) si occupa un crudo documentario prodotto da Irin, l’agenzia d’informazione vicina alle Nazioni Unite. Si racconta la vicenda di Qasim, un padre di famiglia che vive in un campo profughi, lontano dal suo villaggio di origine, distrutto dalla guerra tra le fazioni. Un diario dolente da una delle zone più dimenticate del mondo, dove la vita non vale nulla e l’Islam mostra il suo volto più crudele.

(Su Twitter: @caffulli)

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