Di tanto in tanto, pur nella gravità della situazione che il Medio Oriente si trova a vivere, fa piacere segnalare qualche buona notizia. A seguito di una massiccia campagna attraverso i social network, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) ha annunciato a metà dicembre di aver raggranellato il necessario per proseguire l’assistenza alimentare per un milione e 700 mila rifugiati siriani. All’inizio del mese, il Pam aveva annunciato la sospensione degli aiuti, a causa della mancanza di fondi, ai profughi siriani che vivono al di fuori del campi, sparsi in Egitto, Giordania e Libano. Un fatto che aveva destato forte preoccupazione anche sul versante sociale. Il direttore del Pam Ertharin Cousin era stato lapidario: «Si aprirà una nuova fase d’insicurezza per i Paesi che ospitano questi profughi».
Tra i maggiori donatori che hanno risposto all’appello, Arabia Saudita (52 milioni), Germania (5,4 milioni), Irlanda (1,1 milioni), Norvegia (10,2 milioni), Paesi Bassi (7,5 milioni), Qatar (2 milioni), Svizzera (2,1 milioni), Unione Europea (6,2 milioni).
Ma se l’incubo di un Natale ancor più terribile per le vittime della guerra è stato (per ora) scongiurato, terminati i fondi il problema si sta riproponendo in tutta la sua gravità in queste settimane, con intere famiglie costrette a vivere nella precarietà più assoluta.
Intanto la Fao, l’agenzia delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha fatto sapere che in Siria quasi 7 milioni di persone patiscono una situazione di «grave insicurezza alimentare». Il che significa, fuori dai tecnicismi, che per loro sarà un inverno da fame.