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A Gerusalemme mobilitazione per la scuola di Hand in Hand sotto attacco

Terrasanta.net
4 dicembre 2014
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A Gerusalemme mobilitazione per la scuola di <i>Hand in Hand</i> sotto attacco
I vigili del fuoco nelle aule incendiate della scuola Max Rayne.

Nella serata di sabato scorso, 29 novembre, mani anonime hanno preso di mira l'edificio di una scuola del Centro Hand in Hand a Gerusalemme. Due aule dell'istituto che promuove un'istruzione bilingue - in arabo ed ebraico - sono state incendiate. L'attacco ha suscitato nei giorni scorsi numerose manifestazioni di solidarietà.


(g.s.) – Tra i nostri lettori parecchi hanno già sentito parlare dell’esperienza di Hand in Hand (Mano nella mano), il Centro israeliano che promuove la pacifica convivenza tra arabi ed ebrei in Israele impegnandosi soprattutto con le generazioni più giovani, alle quali propone un modello di istruzione bilingue. Nelle sue scuole, aperte in varie località di Israele, gli allievi studiano con uguale impegno sia l’ebraico sia l’arabo e imparano ad ascoltarsi reciprocamente.

È chiaro che in un momento storico come questo 2014 – in cui le posizioni dei politici israeliani e palestinesi si sono radicalizzate, esacerbando gli animi anche di buona parte delle rispettive opinioni pubbliche – la proposta di Hand in Hand non è da tutti considerata benevolmente. Nella serata di sabato scorso, 29 novembre, qualcuno dei suoi oppositori ha deciso di manifestare la propria contrarietà in modo violento, prendendo di mira la scuola Max Rayne che il Centro gestisce a Gerusalemme a beneficio di oltre 600 studenti (dalla scuola materna all’ultima classe del triennio superiore): un incendio è stato appiccato in due aule e graffiti intolleranti nei confronti degli arabi sono stati tracciati con lo spray su alcuni muri dell’edificio.

I vigili del fuoco sono intervenuti prontamente e così le fiamme non hanno potuto propagarsi creando danni irreparabili. Ha bruciato di più la ferita morale per un attacco inaccettabile. A partire dalla sera stessa e per tutto il giorno successivo gli amici e i sostenitori di Hand in Hand si sono mobilitati per portare solidarietà.

Per tutta la domenica – che è giorno feriale in Israele – delegazioni di associazioni, cittadini, religiosi e rappresentanti delle istituzioni hanno espresso sostegno alla scuola Max Rayne. Vi hanno fatto tappa ministri – Shai Piron (Istruzione), Uri Ariel (Edilizia), Tzipi Livni (Giustizia) – e parlamentari. Va tenuto conto che in Israele è ormai iniziata la campagna elettorale e che quindi i politici cercano visibilità, ma c’è anche la consapevolezza che le scuole, e tanto più certe scuole, andrebbero tutelate come santuari inviolabili. È quanto pare di cogliere dalle parole del sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, tra i primi a giungere sul posto domenica mattina presto. La municipalità ha anche offerto sostegno concreto, mettendo a disposizione una squadra di tecnici per riparare immediatamente ai danni del rogo.

La scuola ha ricevuto anche la visita dell’ambasciatore statunitense Dan Shapiro e del console Michael Ratney. Anche il villaggio Nevé Shalom – Wahat as-Salam – esperienza pilota di convivenza tra ebrei e arabi avviata nel 1974 in Israele dal domenicano padre Bruno Hussar – ha mandato una delegazione per testimoniare che proprio in un momento faticoso come l’attuale c’è bisogno di serrare i ranghi e ribadire il proprio impegno per il dialogo.

Gli studenti della Max Rayne hanno apprezzato particolarmente la visita dei giocatori della squadra di calcio Hapoel Katamon, che hanno scelto di trascorrere con loro le ore di educazione fisica. Ieri, 3 dicembre, gli allievi delle prime classi elementari – proprio coloro che abitualmente utilizzano le aule incendiate – sono stati ricevuti dal capo dello Stato Reuven Rivlin, che sin dai primi giorni del suo mandato, iniziato il 24 luglio scorso, batte sul chiodo della convivenza possibile tra arabi ed ebrei dentro Israele.

La campagna vandalica dei graffitari dell’odio (da essi stessi denominata Tag Mehir, «Il prezzo da pagare») va avanti da anni e prende di mira edifici religiosi e pubblici – cristiani, musulmani ed ebraici – oltre a proprietà private di cittadini arabi o di istituzioni considerate vicine ai loro interessi (la stessa scuola Max Rayne era stata presa di mira altre tre volte, subendo danni minori). Dopo ogni singolo episodio le autorità esprimono condanna e la polizia apre le indagini, ma non si può ancora parlare di «tolleranza zero» verso questo genere di reati. Giorni fa sul quotidiano Haaretz la giornalista Ilene Prusher – che in questo caso scriveva anche in veste di madre di uno degli studenti dell’istituto di Hand in Hand – osservava che sono ben altri i mezzi che lo Stato impiega per tutelare i coloni israeliani che vanno a vivere nei Territori Palestinesi occupati.

Il 30 novembre la Prusher ha scritto: «Qualcuno non voleva che mio figlio andasse a scuola quest’oggi. Qualcuno preferisce che mio figlio se ne resti a casa piuttosto che essere un ebreo che sta in classe con degli arabi. Qualcuno – o per meglio dire, qualche gruppo – detesta così profondamente l’idea della coesistenza tra israeliani e palestinesi da arrivare a dar fuoco alle aule, mandando in cenere i lavoretti dei bimbi, i libri e i giochi; distruggendo quella che è la seconda casa di questi bambini e il senso di sicurezza dei loro genitori riguardo al luogo in cui accompagnano i figli ogni giorno. (…) Come altri genitori degli oltre 600 ragazzi che frequentano la scuola Max Rayne di Hand in Hand, vi abbiamo iscritto nostro figlio nella speranza che sia parte di una generazione di ragazzi per i quali la coesistenza arabo-ebraica sia una specie di seconda natura. Invece, a quanto pare, c’è chi vuole assolutamente che io e i miei figli viviamo nella paura e nell’odio».

A chi ragiona così, conclude la Prusher, ha già risposto uno striscione che tempo fa i ragazzi della Max Rayne hanno appeso ai muri esterni della scuola. Rilancia il motto di una campagna internazionale lanciata mesi orsono sui social network e dice: «Ebrei e arabi rifiutano d’essere nemici».

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