Il cardinal Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, guarda con fiducia al viaggio che Papa Francesco inizia oggi in Turchia: «Riponiamo grandi speranze nell’incontro tra Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Per l’ecumenismo i rapporti interpersonali sono sempre importanti».
«Riponiamo grandi speranze nell’incontro tra Papa Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Papa Francesco ha il carisma dell’amicizia; e la cosa essenziale per l’ecumenismo, in fondo, sono sempre i rapporti personali…». Il cardinal Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, guarda con fiducia al viaggio di Papa Francesco in Turchia, che inizia oggi: tre giorni fitti di incontri istituzionali, interreligiosi ed ecumenici, che culmineranno con l’abbraccio tra il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli, domenica prossima, 30 novembre, festa di sant’Andrea. Il cardinal Kasper ne ha parlato la scorsa settimana, durante la presentazione, a Roma, del libro di Riccardo Burigana Un cuore solo. Papa Francesco e l’unità della Chiesa (Edizioni Terra Santa, 2014), assieme all’autore e a Lucio Brunelli, direttore di Tv2000.
«L’ecumenismo non si costruisce solo attraverso le conferenze e i documenti, che pur sono essenziali – spiega Kasper –, ma con i rapporti personali e la preghiera comune… Il Papa, ad esempio, in Turchia parteciperà alla liturgia divina degli ortodossi. Questo aiuta molto. È un segno per tutta la cristianità: si può rimanere divisi mille anni e poi fare unità e riconciliarsi. È un segno molto importante nella situazione dell’Europa e del mondo di oggi».
Il viaggio di Papa Francesco in Turchia si svolge pochi giorni dopo il cinquantesimo anniversario della Unitatis redintegratio, decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, promulgato da Paolo VI il 21 novembre 1964. «Papa Francesco si è messo sulle orme dei suoi predecessori – osserva il cardinale –: per primo papa Paolo VI incontrò Atenagora, a Gerusalemme, nel 1964. Poi Giovanni Paolo II venne accolto a Istanbul dal patriarca Dimitrios I; il suo successore, Bartolomeo, a sua volta ha accolto in Turchia papa Benedetto, così come ora si accinge ad accogliere Francesco. Bergoglio però porta un nuovo slancio nel dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse».
Kasper individua alcuni punti di originalità che Francesco può offrire al cammino di unità tra le Chiese: «Primo: questo Papa è un promotore dell’ecumenismo dell’incontro – spiega il cardinale –. Per lui il dialogo di verità va preparato e accompagnato dall’ecumenismo dell’amore. Nell’ecumenismo non si può far nulla senza l’incontro personale e l’amicizia. Bisogna incontrarsi, mangiare e bere insieme. Papa Francesco desidera iniziare i processi e poi aspettarne con pazienza i frutti, che non vengono solo da noi ma sono un dono dello Spirito. Per questo per lui la parola “cammino”, il “camminare insieme”, è importante e caratteristico. Nel campo ecumenico ci vuole questa pazienza, una pazienza non passiva ma attiva; una pazienza “appassionata”, con la passione dell’amore. E l’amore cambia dal di dentro le cose».
Il secondo punto di originalità individuato da Kasper è la profonda sincera attenzione di Francesco per le Chiese non cattoliche: «Personalmente mi sono sorpreso quando ho letto che, già da cardinale, Bergoglio citava il teologo riformatore Oscar Cullmann, osservatore al Concilio e amico di Paolo VI. Un teologo che propone l’idea della possibile unità tra le Chiese ancora divise, un’unità nella diversità. Papa Francesco, che parla spesso con immagini, ha citato l’immagine del poliedro: un corpo tridimensionale con molti angoli e superfici diverse; la pietra preziosa è un poliedro che riflette la luce in maniera bellissima. L’immagine è molto suggestiva e può servire soprattutto per il dialogo con gli ortodossi, perché per loro l’unità della Chiesa è in analogia all’unità di Dio in tre ipostàsi o tre persone, un’unità nella diversità».
Nonostante le speranze legate all’incontro tra Francesco e Bartolomeo, il cammino di unità con la Chiesa ortodossa risulta ancora denso di ostacoli. «Quello della Chiesa ortodossa – spiega Kasper – è un mondo composto da diverse Chiese, che hanno la stessa fede, più o meno la stessa liturgia, ma sono Chiese tra loro indipendenti. Bartolomeo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, è molto amichevole e aperto. Ma ci sono anche altre Chiese con cui è difficile dialogare. Ci sono distanze culturali o politiche e l’ecumenismo fa i conti anche con questo. La mia grande speranza oggi è riposta nel fatto che tutte le chiese Ortodosse hanno deciso di incontrarsi in un sinodo pan-ortodosso, nel 2016. La speranza è che grazie al loro Sinodo, le Chiese ortodosse diventino più unite e possano iniziare a parlare con una sola voce, come fa la Chiesa cattolica grazie al ministero petrino». Una condizione che potrebbe facilitare in modo decisivo il dialogo ecumenico.
Negli ultimi anni, in molti continenti, e in particolare in Medio Oriente, sta aumentando il numero dei martiri cristiani. Riferendosi a loro, papa Francesco ha parlato del cosiddetto «ecumenismo del sangue» nell’incontro ecumenico del maggio scorso, al Santo Sepolcro di Gerusalemme: «Questo concetto fu accennato da Giovanni Paolo II all’inizio della sua enciclica Ut unum sint – ricorda il cardinale –. Il Papa diceva: adesso sulla terra noi siamo ancora divisi; ma i martiri cristiani sono uniti nella visione beatifica di Dio. Una volta ho letto la testimonianza di un vescovo latino ed un vescovo ortodosso che si erano incontrati in un lager. Dapprima erano nemici, ma poi nel lager, in questa situazione sono divenuti amici: hanno pregato insieme e sono morti insieme. Dobbiamo lavorare perché possiamo dare una testimonianza insieme; e non importa se il mondo ha ucciso un cattolico, un ortodosso, un protestante… Siamo cristiani, siamo fratelli e sorelle e questo forse può essere un motivo per andare avanti nell’ecumenismo, mettendo da parte le questioni politiche».