Francesco e Bartolomeo: Il presente e il futuro ci chiedono di essere uniti
A Istanbul, tra ieri e oggi, s'è svolta la tappa centrale del viaggio di Papa Francesco in Turchia. Presso la sede del patriarca ecumenico di Costantinopoli, nella festa del santo patrono - l'apostolo Andrea - Bartolomeo I e il suo Ospite venuto da Roma hanno ribadito l'impegno convinto per ripristinare un giorno la piena comunione tra cattolici e ortodossi.
(g.s.) – Proveniente da Ankara, la capitale della Turchia, papa Francesco è giunto ieri, 29 novembre, a Istanbul per il momento centrale del suo viaggio. Ad accoglierlo all’aeroporto il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, che in serata ha ricevuto il Papa alla cattedrale patriarcale di San Giorgio al Fanar, per una preghiera comune. Il momento culminante della festa di sant’Andrea apostolo, patrono della sede di Costantinopoli, si è svolto però questa mattina nella stessa chiesa. Il Papa ha partecipato, insieme al popolo dei fedeli, alla divina liturgia presieduta da Bartolomeo, pur non potendo concelebrare e ricevere la comunione per via dello iato che ancora separa cattolici e ortodossi. Al termine della celebrazione i discorsi del vescovo di Costantinopoli e di quello di Roma.
Il patriarca ecumenico ha subito fatto riferimento all’incontro dello scorso maggio a Gerusalemme: «Conserviamo ancora fresco nel nostro cuore il ricordo del nostro incontro con Vostra Santità in Terra Santa, in devota comune adorazione del luogo ove è nato, ha vissuto, ha insegnato, ha patito, è risorto ed è asceso dove era in precedenza, il Maestro della nostra fede». Grazie all’abbraccio di mezzo secolo fa tra Paolo VI e Atenagora – ha continuato Bartolomeo – «il corso della storia ha cambiato direzione, i cammini paralleli e talvolta contrastanti delle nostre Chiese si sono incontrati nel comune sogno del ritrovamento della loro unità perduta, l’amore raffreddato sì è riacceso e si è ritemprata la nostra volontà di fare tutto ciò che possiamo, affinché spunti di nuovo la nostra comunione, nella stessa fede e nel Calice comune. Da allora si è aperta la via verso Emmaus, una via magari lunga e talvolta ardua, senza ritorno, mentre il Signore ci accompagna in modo invisibile fino a che Egli si riveli a noi: “nello spezzare del pane” (Lc. 24,35)».
Ma il patrimonio di fede custodito dalle due Chiese deve essere fecondo. «A cosa serve la nostra fedeltà al passato, se questo non significa nulla per il futuro? – si è chiesto il patriarca ecumenico -. A cosa giova il nostro vanto per quanto abbiamo ricevuto, se tutto ciò non si traduce nella vita per l’uomo e per il mondo di oggi e di domani? “Gesù Cristo è sempre lo stesso, ieri e oggi e nei secoli” (Eb. 13, 8-9). E la sua Chiesa è chiamata ad avere il suo sguardo volto non tanto all’ieri, quanto all’oggi e al domani. La Chiesa esiste per il mondo e per l’uomo e non per se stessa».
«Volgendo il nostro sguardo all’oggi, non possiamo sfuggire l’ansia per il domani», ha soggiunto Bartolomeo. «Come sopravvivrà l’umanità dilaniata oggi da svariate divisioni, scontri ed inimicizie, molte volte addirittura nel nome di Dio? Come sarà distribuita la ricchezza della terra in modo più equo, cosicché domani la umanità non viva la schiavitù più esecrabile, che abbia mai conosciuto? Quale pianeta troveranno le prossime generazioni per abitarvi, quando l’uomo contemporaneo nella sua cupidigia lo distrugge senza pietà ed in modo irrimediabile? Molti pongono oggi le loro speranze nella scienza. Altri nella politica, altri ancora nella tecnologia. Ma nessuno di loro è in grado di garantire il futuro, se l’uomo non accoglie il messaggio della riconciliazione, dell’amore e della giustizia, il messaggio dell’accettazione dell’altro, del diverso, persino del nemico. La Chiesa di Cristo, che per primo ha insegnato e vissuto questo messaggio, ha il dovere per prima cosa di applicarlo a se stessa, “affinché il mondo creda” (Gv. 17,21). Ecco perché urge più che mai il cammino verso l’unità di quanti invocano il nome del grande Operatore di pace. Ecco perché la responsabilità di noi cristiani è maggiore davanti a Dio, all’uomo e alla Storia».
Bartolomeo ha quindi elogiato e ringraziato il Papa per la sua testimonianza di semplicità, umiltà e amore verso tutti, spiegando che gli ortodossi nutrono la speranza che durante il suo ancor giovane pontificato continui e si rafforzi il cammino ecumenico.
A questo punto il patriarca ha menzionato il Grande sinodo della Chiesa ortodossa, in calendario a Costantinopoli nel 2016 – per il quale ha chiesto di pregare – ma ha anche espresso la speranza che un giorno, ristabilita la piena comunione con i cattolici, si possa celebrare un nuovo concilio veramente ecumenico. Infine l’arcivescovo di Costantinopoli ha detto: «I problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese, impongono a noi il superamento della introversione e il fatto di affrontarli per quanto possibile con più strette collaborazioni. Non abbiamo più il lusso per agire da soli. Gli odierni persecutori dei cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio. Tendiamo dunque insieme la mano all’uomo contemporaneo, la mano del solo che è in grado di salvarlo per mezzo della croce e della sua risurrezione».
Papa Francesco, dal canto suo, ha osservato che «incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee».
«Non è un caso, dunque, – ha continuato il Papa – che il cammino di riconciliazione e di pace tra cattolici ed ortodossi sia stato, in qualche modo, inaugurato da un incontro, da un abbraccio tra i nostri venerati predecessori, il Patriarca Ecumenico Atenagora e Papa Paolo VI, cinquant’anni fa, a Gerusalemme, evento che Vostra Santità ed io abbiamo voluto recentemente commemorare incontrandoci di nuovo nella città dove il Signore Gesù Cristo è morto e risorto».
Bergoglio ha poi menzionato il recente cinquantesimo anniversario della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio, sulla ricerca dell’unità di tutti i cristiani. Rifacendosi a quel testo, il Papa ha detto che «per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e della esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
Qui il Pontefice ha evocato le voci di coloro che chiedono ai cristiani «di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo» e di contribuire alla costruzione di un’umanità nuova e più giusta: la voce dei poveri, quella delle vittime dei conflitti, quella dei giovani.
Terminato il rito liturgico e i discorsi, Francesco e Bartolomeo si sono recati nel palazzo patriarcale, dal quale hanno benedetto i fedeli prima di firmare una Dichiarazione comune e riunirsi per un pasto fraterno insieme ai membri delle loro delegazioni.
Poche ore più tardi il Papa è ripartito in aereo alla volta di Roma.