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Reimparare a vivere in famiglia

Emilie Rey
31 ottobre 2014
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Reimparare a vivere in famiglia
Un momento di vita comune nella Casa del fanciullo, a Betlemme. (foto Cts/m.a.b.)

Fondata sei anni fa a Betlemme, la Casa del Fanciullo offre un accompagnamento educativo a giovani e bambini cristiani in difficoltà


William, 15 anni, zaino in spalla, esce dal Terra Sancta College di Betlemme insieme ai compagni di classe. Con un briciolo di timidezza, ci saluta in inglese mentre i suoi amici si allontanano. Sono le due del pomeriggio e in Palestina la scuola è finita. Tornano tutti a casa. William, invece, aspetta padre Marwan, il frate francescano che dirige questa scuola maschile di 1.200 allievi (cristiani e musulmani).

Abuna (padre) Marwan Di’des, spunta dal fondo del cortile e si dirige verso un minibus. William, che lo segue, non è ancora salito che il motore romba già! Abuna Marwan fa parte di quelle persone dotate di un’energia e di un’intraprendenza che si colgono al primo sguardo. Li ritroviamo dieci minuti più tardi nel luminoso cortile delle suore Francescane Missionarie di Maria, presso l’abside della basilica della Natività. Sul frontone della porta che varcano campeggia la scritta Beit el tefl, la Casa del fanciullo.

La porta è socchiusa. Dall’interno si leva un vociare giovanile, fatto di grida e di risa. È l’ora di pranzo e una trentina tra bambini e ragazzi, dai 6 ai 18 anni, si trovano riuniti nella stessa sala. Abuna Marwan passa tra i tavoli, toccando sulle spalle i più grandi; poi si ferma per aiutare il più piccolo a tagliare un pezzo di carne. Chiama ciascuno per nome e per un istante ci sembra siano tutti fratelli.

Affiancato da una decina di persone, questo frate palestinese è responsabile del centro che ha visto nascere circa sei anni fa. Ripensa all’idea originale: «Nelle nostre visite parrocchiali – padre Marwan è stato parroco di Betlemme – incontravamo molti giovani e bambini con vari problemi. Eravamo convinti che nessun bambino nasce con problemi, ma che piuttosto deve affrontarne; esistono quindi famiglie in difficoltà o contesti ‘dannosi’ che portano il bambino all’insuccesso».

È in parte grazie ai fondi raccolti in occasione della Colletta del Venerdì Santo che una struttura e un progetto pedagogico come questo hanno potuto vedere la luce. William, che ha accettato di raccontare la sua vita, ci spiega che abita alla Casa del Fanciullo da sei anni. I suoi genitori sono separati e, benché la famiglia risieda a Betlemme, lui preferisce dormire qui. «A casa di mio padre nessuno si occupa di me, nessuno cucina o mi incoraggia a studiare. Mio padre vive la sua vita, e basta. Non parliamo mai. Mia madre lavora molto: è contenta che io mi trovi qui perché mi vede studiare e pensare al mio futuro. Tempo fa mi ha detto che nessun altro si sarebbe occupato di me e che avrei dovuto cavarmela da solo».

Negli ultimi anni, numerosi professionisti, volontari ed educatori si sono avvicendati, portando la propria esperienza per sviluppare un approccio che risponda ai bisogni specifici di ogni bambino. Tale approccio non riguarda solo il lato sociale o psicologico, ma anche accademico, culturale e alimentare. «Non diamo un solo libro a un bambino senza spiegargli il perché. E lo stesso con i frutti, il latte e i cereali della prima colazione», precisa il frate. «Che risentano di problematiche sociali, psicologiche, economiche o scolastiche, tutti i ragazzi della Casa del Fanciullo sanno che nessuno è qui senza un motivo. È il primo tabù che cerchiamo di abbattere. Si viene alla Casa del Fanciullo per risolvere un problema e reimparare a vivere in famiglia».

Stando a quanto dice William, è sul successo scolastico che si insiste di più. Finito il pranzo, alcuni ospiti si riuniscono, mentre altri, quaderno alla mano, si isolano. Nessuna aula con banchi allineati: i corsi di sostegno si tengono su un divano, sulla terrazza, in camera o nel refettorio; a ognuno i propri ritmi. Questo fa parte del metodo adottato qui: come dice ridendo padre Marwan, «gli studi non sono tanto una questione di memoria, prima bisogna convincere un ragazzo a sedersi!».

William parla bene l’inglese; non l’ha imparato sui libri, ma guardando serie tivù e film che gli portava padre Marwan. «Ogni settimana potevamo guardare tre film: noi ne sceglievamo due e abuna il terzo. Lui sceglieva sempre film che fanno riflettere o imparare qualcosa, ma noi giovani preferiamo l’azione e l’avventura!», ci racconta William. Ecco un esempio dei compromessi e delle concessioni che regnano nella Casa. «I ragazzi lo sanno, ogni regola ha la sua ragion d’essere. Ce n’è bisogno per progredire tutti insieme», sottolinea il francescano. E insiste: «Insegniamo loro che la vita è fatta di scelte e che fare una scelta giusta e rispettarla è alla base dell’esistenza. Questi ragazzi non hanno avuto nessuno con cui crescere, nessun esempio positivo! Vogliamo renderli autonomi, e da ciò deriva la nostra preoccupazione a spiegar loro tutto ciò che facciamo e viviamo in questa casa».

Dalle parole di William traspaiono affetto e riconoscenza. Cita più volte il fratello maggiore, anche lui ospite della Casa in passato: ottenuto il diploma, è partito per la Giordania a studiare cinema. «Abuna Marwan lo chiama ogni domenica, gli chiede come vanno gli studi, se ha delle difficoltà… Abuna per noi è come un padre, ci conosce bene, ma anche noi lo conosciamo! E sappiamo i suoi… difetti. Al mattino si alza alle 5.30 e non riesce a svegliarsi senza ascoltare Fairouz, la sua cantante libanese preferita!», racconta William con il sorriso sulle labbra.

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