In queste settimane mentre la città curda di Kobane subisce l'assedio delle milizie islamiste, schiere di curdi provenienti soprattutto dal Nord Europa – giovani tedeschi, danesi, svedesi o norvegesi di origini curde -, tornano in Medio Oriente per combattere a fianco dei loro fratelli. Nel Kurdistan iracheno, come in Siria.
I boati delle granate continuano a richiamare centinaia di giovani occidentali verso Iraq e Siria (come abbiamo già scritto da tempo) coinvolgendoli in una «piccola guerra europea» in Medio Oriente.
Il fenomeno, però, oggi non riguarda più solo i giovani musulmani affascinati dal fondamentalismo dello Stato islamico. In queste settimane, infatti, mentre la città curda di Kobane vive un sanguinoso assedio delle milizie musulmane, schiere di curdi provenienti soprattutto dal Nord Europa – giovani tedeschi, danesi, svedesi o norvegesi di origini curde -, tornano in Medio Oriente per combattere a fianco dei peshmerga del Kurdistan iracheno, dei curdi siriani e delle unità di protezione popolare curda impegnate contro lo Stato islamico.
Secondo Susan Guven, presidente dell’Associazione nazionale curda della Svezia, intervistata dal giornale curdo-iracheno Rudaw, nell’ultimo mese circa 200 curdi svedesi hanno lasciato il Paese scandinavo per partecipare in vario modo alla battaglia contro il califfato (noto anche come Stato islamico dell’Iraq e del Levante, Isil). Alcuni giornali norvegesi citati da Rudaw, nel mese di agosto hanno dato notizia di curdi di origine norvegese al fronte iracheno; dalla Danimarca, i curdi tornati in Medio Oriente a combattere sarebbero almeno 10. Tra loro anche Zazd Mahmood Hamid, che in Danimarca lavorava come meccanico e pizzaiolo. «I miei antenati hanno sparso il loro sangue per l’autonomia curda – spiega –. Non rimarrò a guardare l’Isil mentre prende il sopravvento, senza far nulla».
Hussein Mohammed ha abbandonato il suo lavoro da musicista in Germania e la sua famiglia, per diventare un peshmerga nell’Iraq del nord. Invece, la goccia che ha fatto traboccare il vaso del trentenne Shaho Pirani, laureato in antropologia e scienze politiche in Danimarca, è stata la presa della città irachena di Mosul da parte dello Stato islamico, lo scorso giugno. Quando è successo, Shaho ha deciso di lasciare la Danimarca, fare un corso di addestramento sull’uso delle armi e diventare un peshmerga. Sulla sua pagina Facebook, a fine settembre ha postato un video in cui lo si vede vestito da miliziano curdo, col fucile a tracolla. «Se l’Isil vince, perdiamo tutto. Fino a quando i curdi avranno bisogno del mio aiuto, io ci sarò». In questi giorni Shaho sta pensando di andare a Kobane a combattere.
Anche molti curdi provenienti dalla Turchia si sono uniti in queste ore alla resistenza armata di Kobane. Secondo l’agenzia di informazione Bloomberg, la maggior parte dei curdi che combattono a Kobane fanno parte di organizzazioni collegate al Partito del lavoratori curdi (Pkk) considerato un gruppo terrorista da Turchia, Usa e Unione Europea. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto che le proteste dei curdi che vivono in Turchia sulla decisione turca di non intervenire sono state programmate per destabilizzare il governo. E, per questo motivo, più di 30 persone sono state uccise nelle dimostrazioni, questo mese. Secondo i curdi della Turchia, se mai dovesse cadere Kobane, in Turchia potrebbe addirittura scatenarsi una guerra civile.
Il fenomeno del ritorno in patria per combattere a fianco dei propri fratelli in pericolo riguarda invece solo marginalmente le differenti comunità cristiane. Qui il fenomeno che si sta affermando, invece, è quello delle milizie armate di Sutoro (parola che in siriaco significa «Protezione»), organizzazione che ha l’obiettivo di difendere la popolazione locale cristiana perché possa rimanere nella propria terra. La regione in cui Sutoro è attiva è soprattutto quella della Siria nord-occidentale, in territorio dove è molto numerosa la popolazione curda. Secondo il giornale libanese L’Orient-Le Jour, che ha recentemente dedicato un servizio a Sutoro, tra i primi sostenitori dell’organizzazione ci sarebbe stato proprio un europeo di seconda generazione: Johan Cosar, cittadino svizzero – siriano di religione cristiana – tornato in Siria per formare militarmente le giovani milizie cristiane.
Secondo L’Orient-Le Jour anche a sud di Homs, in Siria, alcuni villaggi cristiani come Al Aaliyat e Fayruzah – in un territorio ad alto rischio di aggressioni da parte dei miliziani fondamentalisti – si sarebbero organizzati con milizie cristiane armate, pronte a difendere a costo della vita il loro territorio.