Nei vasti quartieri che formano la grande Gerusalemme, a occidente della Città Vecchia, procedendo sulla strada di Ain Karem, sono spesso state fatte scoperte interessanti. Queste zone infatti sono sempre state considerate come parte dei dintorni di Gerusalemme e la loro storia è necessariamente legata a quella della città. Le colline, gradevolmente ondeggianti, si punteggiavano un tempo di piccoli abitati in mezzo agli olivi. Oggi il paesaggio è piuttosto dominato da una grande quantità di strutture abitative e palazzi di governo. È questa l’area di numerosi ritrovamenti archeologici recenti, tra i quali la fattoria con il raro sigillo crociato che stiamo per descrivere.
Il sigillo (o bulla, in latino) consiste in questo caso, come in altri, di due semplici dischi di piombo tra i quali si fanno passare delle cordicelle o nastrini che con la pressione dei due dischi tra di loro rimangono fermamente incastrate all’interno. Non è possibile così aprire la lettera, busta o rotolo cui è apposto questo sigillo senza provocarne la rottura. La pressione sui dischi di piombo viene fatta mediante stampi metallici che lasciano sulle superfici esterne una impronta predeterminata con scritte, figure, simboli che generalmente indicano l’appartenenza o la provenienza del contenuto.
Sono questi elementi che conferiscono al sigillo, anche usato, una singolare importanza storica o artistica, anche a prescindere dal contenuto originariamente racchiuso che spesso, essendo maggiormente deperibile, non ci è conservato.
Il Dipartimento delle Antichità d’Israele ha recentemente comunicato la scoperta di un raro (se non unico) sigillo risalente al secolo XII, cioè al tempo della presenza crociata in Terra Santa, e pertinente al celebre monastero di San Saba. Più noto con il nome di origine aramaica, cioè Mar Saba, questo è l’unico tra gli antichi monasteri del deserto palestinese che rimase sempre abitato, sia pure non senza difficoltà e vicissitudini. Il santo omonimo lo fondò nel quinto secolo, sotto forma di «laura», cioè con caratteristiche più specificatamente adatte alla vita eremitica, solitaria. In seguito fu trasformato in cenobio, adattandolo per una vita monastica di genere più comunitario. Il monastero, considerato a tutt’oggi come una roccaforte del monachesimo greco-ortodosso, esiste ancora arroccato sulle pareti quasi verticali di un wadi, una ventina di chilometri all’incirca a est di Betlemme. Il corpo del santo fondatore, conservato per molti secoli a Venezia, è stato restituito per volontà di Papa Paolo VI.
Il sigillo mostra, su una facciata, il busto del santo, barbuto, vestito di un mantello fermato sul petto da un grosso fermaglio. Nell’apertura del mantello si intravede lo scapolare monastico. La mano destra regge una croce, la sinistra stringe un rotolo (la regola di vita del santo?). Resti dell’iscrizione all’intorno identificano il personaggio san Saba. Sulla facciata opposta si legge un’altra più lunga iscrizione greca: «È questo il sigillo della Laura di san Saba».
Il luogo del rinvenimento (se ipotizziamo trattarsi di una proprietà del monastero nei campi fertili dei dintorni di Gerusalemme) potrebbe ben essere la Thora menzionata come tale in vari documenti del 1163-1164.
In senso stretto il sigillo è testimone di relazioni esistenti con l’istituzione da cui è emesso, relazioni che non sono però necessariamente di dipendenza. Un sigillo usato viene solitamente rinvenuto presso il ricevente della missiva, del quale però non ci offre propriamente alcuna informazione diretta.