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Io sto con la sposa, diritti senza frontiere

Luca Balduzzi
4 settembre 2014
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<i>Io sto con la sposa</i>, diritti senza frontiere
Il gruppo di lavoro di Io sto con la sposa.

Viene prima il rispetto dei diritti umani, o quello delle regole? A questa domanda risponde senza alcuna esitazione il documentario Io sto con la sposa, di Antonio Auguagliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, racconta la storia (vera) di un corteo nuziale (finto), inscenato per consentire a cinque profughi di provare a realizzare il loro sogno di raggiungere la Svezia dall'Italia.


Viene prima il rispetto dei diritti umani, o quello delle regole? A questa domanda, il documentario Io sto con la sposa risponde senza alcuna esitazione.

Da quando la guerra civile sta insanguinando la Siria, continua ad aumentare il numero di coloro che abbandonano la propria terra per cercare di raggiungere, con qualsiasi mezzo, l’Europa. Un viaggio da mille dollari a persona che li porta, quando riescono a sopravvivere a giorni e giorni di navigazione senza toccare cibo né acqua, a sbarcare sulle coste italiane. Non hanno alcuna intenzione di fermarsi nei centri di accoglienza di Lampedusa e del Sud Italia. Il desiderio è un altro: raggiungere la Svezia, unico Paese (dei 17 che si erano detti disponibili) realmente disposto a riconoscere ai profughi di guerra lo status di rifugiati politici.

Il documentario di Antonio Auguagliaro, del giornalista Gabriele Del Grande e del poeta Khaled Soliman Al Nassiry, presentato nella sezione Orizzonti della settantunesima edizione della Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, racconta in presa diretta la storia (vera) di un corteo nuziale (finto), messo in scena per dare la possibilità a cinque profughi di provare a realizzare quel loro sogno. Evitando di correre il rischio di essere individuati ed arrestati come trafficanti di esseri umani, e di andare incontro a 15 anni di carcere.

Abdallah, giovane profugo siriano, reciterà la parte dello sposo, con la complicità di un’amica dei registi, che indosserà il vestito bianco per tutto il viaggio. Gli altri profughi si fingeranno genitori e familiari, e una decina di amici italiani interpreterà gli invitati. Con tanto di coccarde bianche attaccate alle antenne o agli specchietti retrovisori delle macchine.

Tremila chilometri di strada, dalla stazione centrale di Milano, i cui mezzanini vengono quotidianamente «popolati» da nuovi bivacchi, a Malmö. Cinque frontiere da attraversare: a cominciare da quella con la Francia, e poi con il Lussemburgo, la Germania, la Danimarca, e infine il ponte di Oresund, che dà accesso alla Svezia. Un viaggio compiuto in cinque giorni, fra il 14 e il 18 novembre dello scorso anno.

Fa sorridere, guardando la strana comitiva superare il confine francese seguendo il sentiero che porta al Passo della Morte, e passando attraverso un buco nella recinzione metallica, pensare che a meno di 24 ore di distanza dalla presentazione del documentario a Venezia, in riva al Mar Ligure è in programma l’ennesimo vertice fra i vertici della Polizia di Stato e della Sûreté transalpina. La stessa che continua a respingere in maniera inflessibile i profughi che cercano di superare il confine di Grimaldi, predisponendo anche dei veri e propri posti di blocco alla barriera autostradale e alla stazione ferroviaria di Ventimiglia, e ai valichi di Ponte San Ludovico e di Ponte San Luigi. Anche dopo che l’esecutivo guidato da Maurice Valls ha deliberato di aderire al programma Frontex Plus.

Io sto con la sposa si dimostra attuale e necessario. Un merito che gli è stato evidentemente riconosciuto anche dai 2.617 privati che, a fine giugno, hanno spontaneamente donato 75 mila euro per riuscire a finanziare la realizzazione del documentario.

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