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Su Libano e Giordania incombe il califfato

Carlo Giorgi
1 luglio 2014
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Su Libano e Giordania incombe il califfato
Un autocolonna di combattenti dell'Isil.

Sono giorni cruciali per la guerra in Medio Oriente: i musulmani fondamentalisti vincono sul campo e creano un califfato in Iraq e Siria. Mentre Libano e Giordania temono di venire coinvolti nel conflitto, che rischia di assumere proporzioni regionali. Anche Israele segue con allarme gli sviluppi.


Sono giorni cruciali per la guerra in Medio Oriente: i musulmani fondamentalisti vincono sul campo e creano un califfato in Iraq e Siria. Mentre Libano e Giordania temono di venire coinvolti nel conflitto, che rischia di assumere proporzioni regionali.

In Iraq, nelle ultime tre settimane, le istituzioni ufficiali hanno dimostrato tutta la loro debolezza; mentre i ribelli dell’Isil, lo Stato islamico della Siria e del Levante, hanno collezionato importanti vittorie strategiche: l’11 giugno i terroristi, mettendo in fuga l’esercito regolare (e super armato) di Baghdad, hanno conquistato in poche ore città come Mosul (costringendo mezzo milione di persone alla fuga), Baiji (dove si trova la raffineria più grande del Paese) e Tikrit,; il 21 giugno hanno preso Qaim, valico di frontiera con la Siria; il 23 giugno in una sola giornata Tarbil, l’unico valico di frontiera con la Giordania, e al-Waleed, un altro valico siriano. Sull’onda dei successi militari, il 29 giugno, i terroristi hanno proclamato la costituzione di un nuovo «Stato islamico»; un califfato che si estenderebbe dalla provincia di Diyala, in Iraq, fino ad Aleppo, in Siria (territori su cui Isil ha un effettivo controllo).

Così il Medio Oriente ha fatto un anacronistico salto indietro di quasi cento anni. Il califfato, infatti, è un’istituzione iniziata con la morte del profeta Maometto e tramontata nel 1926, con la morte dell’ultimo califfo e il declino dell’Impero Ottomano. Abu Bakr al-Baghdadi, leader di Isil, domenica è stato proclamato califfo e «capo dei musulmani ovunque». Nella logica dei fondamentalisti, il nuovo califfato è la più autorevole tra le istituzioni islamiche esistenti; per cui, il califfo ha il diritto di conquistare e prevalere su ogni altro Stato islamico. Cosa che non può che preoccupare i governanti del Medio Oriente.

Chi trema davvero in queste ore è il Libano. Il Paese, che deve già sopportare il peso economico e sociale di oltre un milione di profughi siriani, dal 20 al 25 giugno – in soli cinque giorni- è stato insanguinato da tre attentati suicidi. Bombe esplose dopo tre mesi di calma apparente. L’ultimo attentato è stato in un hotel di lusso del centro di Beirut, dove un giovane saudita di 20 anni, si è fatto saltare in aria mentre i servizi di sicurezza libanesi stavano facendo irruzione nella sua stanza.

«Gli attacchi sono un messaggio da parte di Isil che la battaglia non è limitata all’Iraq, ma che arriva alla Siria e al Libano», ha dichiarato Samir Bader, professore di economia e relazioni internazionali dell’Università Saint Joseph di Beirut al quotidiano online libanese Yalibnan, aggiungendo che nella logica dell’Isil la battaglia del Levante include Siria, Iraq, Giordania, Palestina e Libano.

«Il fatto che i militanti di Isil cerchino rifugio negli alberghi indica che non hanno nessuno nella società sunnita disposto ad aiutarli», ha spiegato Hilal Khashan, professore di Scienze politiche dell’Università americana di Beirut, in un’intervista al quotidiano libanese The Daily Star. Tuttavia il quotidiano riporta anche il fatto che, martedì 24 giugno, nel corso di una manifestazione nella periferia di Tripoli (dove è forte la presenza sunnita), si è potuta vedere sventolare almeno una bandiera nera di Isil come cartelli inneggianti a Baghdadi…

La preoccupazione aumenta alla luce di un’altra notizia rivelata dalla televisione libanese Lbci: secondo l’emittente, costituendo il califfato islamico, Isil avrebbe nominato anche un «emiro», Abdul Salam al-Ordoni, responsabile per il Libano; e avrebbe organizzato un campo di addestramento per aspiranti terroristi suicidi da mandare proprio nel Paese dei cedri. Cosa che spiegherebbe l’aumento di attentati nel Paese.

Anche la Giordania, in questi giorni, deve fare i conti con i terroristi di Isil. Sul confine con l’Iraq sono stati disposti altri carri armati, lanciarazzi e truppe. Quattro elicotteri militari sorvolano continuamente i 180 chilometri che dividono i due Paesi per controllare che nessuno entri illegalmente in Giordania. E lo stesso primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, domenica ha chiesto alla comunità internazionale di sostenere la Giordania nel suo sforzo di opposizione al fondamentalismo islamico. Il premier ha anche accennato all’ipotesi di costruire una nuova barriera di sicurezza israeliana lungo tutta la linea del confine occidentale del Regno ashemita.

Intanto, nei territori che governano, i terroristi di Isil continuano a rendersi responsabili di azioni efferate: sabato scorso a Deir Hafer, nelle vicinanze della città di Aleppo, hanno crocifisso in pubblico otto persone, diffondendo le foto dei crocifissi su Twitter. Colpa imputata alle vittime: l’essere musulmani moderati, non in linea con l’intransigenza del movimento fondamentalista.

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