Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Stranieri e pellegrini nella terra promessa

fra Alessandro Coniglio ofm
17 luglio 2014
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Siamo pellegrini di senso, cercatori di senso, cercatori di Dio (cfr. Lettera della Cei 2008). Questo pellegrinaggio della fede ha avuto in Abramo una meta precisa: la Terra Santa, come abbiamo visto. Ma questo è proprio vero? La Lettera agli Ebrei stranamente dice che «per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende… Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra» (Eb 11,8-9.13). Ma allora Abramo ha ottenuto davvero di raggiungere la meta del suo peregrinare? Sembra di no! La fede di Abramo, come quella di ogni uomo che ne segue le orme, resta sempre un pellegrinaggio, un cammino lasciato costantemente aperto, e la vita è radicalmente contrassegnata da quella virtù che i Padri del deserto chiamavano in greco la xeniteia, termine astratto derivato dalla radice della parola «straniero», e che si potrebbe rendere come «estraneità», l’essere costitutivamente stranieri a questo mondo. Eppure, si obietterà, Abramo raggiunse la Terra Santa. Sì e no! Innanzitutto perché quella che raggiunse il patriarca non è mai definita così nella Bibbia: essa è piuttosto la Terra della promessa, la Terra dell’eredità, come abbiamo sentito dalla Lettera agli Ebrei. Nella Bibbia il binomio «Terra Santa» si ritrova solo due volte: Esodo 3,5 e Zaccaria 2,16. In entrambi i casi si parla letteralmente di «suolo santo» più che di «terra santa». Nel primo caso si riferisce al Sinai, dunque non corrisponde a ciò che per noi è oggi la Terra Santa, mentre nel secondo caso il legame pare più corretto, riferendosi alla terra che ha al suo centro Gerusalemme.

L’espressione «terra della promessa e dell’eredità», riferita alla Terra Santa, ci dice come essa non sia mai oggetto di possesso definitivo. Non lo fu per Abramo, non lo è stato per Israele, tante volte costretto ad abbandonarla, non lo è oggi per la Chiesa, che, nelle sue diverse confessioni e nei suoi diversi riti, è presente in Terra Santa con una percentuale risibile (meno del 2 per cento). Anche in questo, però, la Terra Santa esprime il suo legame con la fede: come la fede è cammino che non consegue mai il suo oggetto, Dio, perché quando lo conseguirà si trasformerà in visione, cessando per questo di essere fede, così la Terra Santa resta sempre «terra della promessa», qualcosa il cui possesso definitivo ci è sempre dilazionato; e «terra dell’eredità» che si consegue solo dopo una morte! Così fu per Abramo stesso: cosa conseguì il patriarca della terra promessa se non il solo suolo della sua sepoltura, la sola terra del suo sepolcro (cfr Genesi 23,20)? Dio aveva promesso ad Abramo una terra, ma gli diede in concreto solo la terra in cui seppellire sua moglie Sara e se stesso: la Terra Santa, meta del pellegrinaggio di Abramo, è la terra della sua tomba! Come la fede consegue solo nella morte la propria meta, così Abramo consegue nella fede l’adempimento della promessa di Dio, acquistando, come Terra Santa, il proprio camposanto.

Non credo allora che sia un caso se la presenza cristiana in Terra Santa sia così minimale: essa è seme (Marco 4,26-27), è piccolo gregge (Luca 12,32), è porzione di eredità (Deuteronomio 32,9), è promessa di un bene, segno di un bene, che sarà conseguito solo quando la Gerusalemme di quaggiù si sarà mutata nella Gerusalemme di lassù, che «è libera ed è la madre di tutti noi» (Galati 4,26).

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